Capitolo 1

La salvezza

 

La dottrina dei teologi papisti in termini generali

La chiesa cattolica romana afferma che ‘il Figliuol di Dio si fece uomo per salvarci, cioè per redimerci dal peccato...’ (ibid., pag. 71). Quindi, essa insegna il giusto in questo; ma passando a spiegare il come Cristo ci salva essa afferma una eresia perché dice che Cristo ‘ci redense dal peccato originale che cancella in noi col Battesimo, e ci redime dai peccati nostri colla Penitenza che perdonandoceli, ci condona anche l’Inferno per essi meritato, e ci riacquista il diritto al Paradiso’ (ibid., pag. 71). Che cosa vogliono dire queste parole? Questo, che quando il bambino viene battezzato (cioè - per loro - quando gli viene versata l’acqua benedetta sul capo) viene liberato dalla schiavitù del peccato, viene giustificato dinanzi a Dio, gli viene cancellato il peccato originale, ed ottiene di entrare in paradiso (senza fede quindi); poi quando è cresciuto e compie dei peccati mortali, che sono i soli che secondo la teologia papista lo privano della grazia divina e lo rendono degno di pena o morte eterna all’inferno, allora si deve andare a confessare dal prete, che lo redime da essi, lo giustifica, e glieli rimette, assolvendolo e dandogli delle opere di penitenza da compiere per espiarli appieno perché i meriti di Cristo non bastano: l’uomo deve anche lui dare la sua parte di soddisfazione per i suoi peccati a Dio! Così, tramite la confessione fatta al prete e l’osservanza delle opere prescrittegli, egli può ricuperare la grazia perduta, e meritarsi il paradiso [1]. In sostanza la salvezza di cui parlano i teologi papisti non si ottiene per fede soltanto (e quindi non per grazia di Dio) il che equivale a dire che Cristo in realtà non è venuto a salvarci ma ad aiutarci affinché ci salvassimo da noi stessi. Ho voluto fare questa premessa per fare capire, senza entrare per ora nei dettagli di questi due sacramenti essenziali alla salvezza (questo lo faremo quando parleremo specificatamente di essi), che la teologia papista insegna non la salvezza per (sola) fede, come la insegna la sacra Scrittura, ma una salvezza per mezzo del battesimo quando si è fanciulli (o quando si è adulti) e per mezzo della penitenza (il che implica sempre - si tenga presente questo - il dovere fare qualcosa per espiare i propri peccati) quando si è cresciuti. E’ vero che parlano anche loro di fede, ma (oltre a fare delle strane distinzioni di fede come quella tra la fede teologale e quella di fiducia) fanno capire chiaramente, e ripeto chiaramente, che per la sola fede non si viene salvati, per la sola fede non si ottiene la remissione dei peccati, per la sola fede non si viene giustificati, per la sola fede non si ottiene la vita eterna. Il loro messaggio in sostanza è questo: ‘Non basta credere per essere salvati, giustificati, perdonati, ed entrare in paradiso’.

Ora, come ho accennato prima, per la teologia papista c’è una redenzione, una remissione dei peccati, una giustificazione con il relativo diritto di andare in paradiso, che si ottiene senza fede e senza opere con il battesimo per infusione dopo pochi giorni in cui si è nati; e poi c’è un’altra redenzione, un’altra remissione dei peccati, un’altra giustificazione con il diritto di andare in paradiso che si ottiene mediante il sacramento della penitenza quando si è più grandi - dopo avere commesso i cosiddetti peccati mortali - compiendo opere di misericordia e mortificazioni. Io in questa prima parte del libro confuterò maggiormente la dottrina che dice che l’affrancamento dal peccato, la giustificazione, la remissione dei peccati, e la vita eterna si ottengono per opere meritorie, in altre parole la salvezza per opere prescritta agli adulti dalla chiesa papista che possiamo benissimo chiamare autoredenzione. Sì, perché nei fatti la redenzione offerta dal cattolicesimo agli uomini è un autoredenzione perché essa si fonda essenzialmente sui meriti umani che consistono nel cattolicesimo in digiuni, mortificazioni, atti di misericordia, elemosine, preghiere e cerimonie cosiddette sacre. Questo è un dato di fatto; ma i teologi papisti san ben mascherare questa autoredenzione parlando di grazia. Ma di una grazia suddivisa in due specie; grazia santificante e grazia sacramentale che vengono conferite all’uomo dai loro sacramenti. Senza entrare nei dettagli mi limito a dire che questa loro grazia conferita dai sacramenti mette in grado l’uomo di meritarsi, e ripeto meritarsi, la salvezza eterna.

Ora, con la grazia di Dio, dimostrerò che non è affatto in virtù di opere che si viene liberati dai peccati, che non è in virtù di opere che si viene giustificati, che non è in virtù di opere che si ottiene la remissione dei peccati, e che non è in virtù di opere che si ottiene la vita eterna [2], ma solo ed esclusivamente mediante la fede, quindi per la grazia di Dio (gratuitamente). E che perciò ogni merito umano è escluso nella maniera più assoluta; ogni sforzo umano compiuto per guadagnarsi la salvezza è vano ed offensivo nei confronti di Cristo Gesù. La salvezza è per grazia, totalmente per grazia; l’uomo non deve guadagnarsela, ma deve solo riceverla dalla mano di Dio. Questo è il messaggio che sta alla base del Vangelo; se esso manca, manca l’Evangelo. E nella chiesa cattolica romana manca proprio questo, il Vangelo della grazia di Dio. Adesso lo dimostrerò.

 

L’AFFRANCAMENTO DALLA SCHIAVITÙ DEL PECCATO

La dottrina dei teologi papisti

La redenzione dal peccato si ottiene mediante il battesimo e la penitenza. I meriti di Cristo non bastano per riceverla, bisogna perciò fare delle opere buone per ottenerla. I teologi papisti - come ho già accennato - sostengono che il battesimo libera dal peccato chi lo riceve (quindi non solo gli infanti ma anche gli adulti che per esempio si convertono dal buddismo al cattolicesimo); ed affermano pure che una volta battezzati se si compiono dei peccati ‘mortali’ si perde la grazia e quindi è necessario andare a confessarsi dal prete per ottenere la liberazione da essi e ricuperare la grazia perduta. Va detto però che quantunque il prete abbia ricevuto da Cristo l’autorità di rimettere i peccati, al penitente dopo la confessione rimane da espiare una parte della colpa meritata. Perché questo? Perché i meriti di Cristo (che il prete pretende di applicare al penitente con la formula assolutoria) sono insufficienti a salvarlo per cui non è sufficiente la fede a salvarlo, cioè per lui non è sufficiente pentirsi e credere che Gesù Cristo è morto anche per i suoi peccati sulla croce ed è risuscitato per la sua giustificazione, ma occorrono pure delle opere buone (chiamate opere di soddisfazione). E come sostengono ciò con le sacre Scritture? Prendono le seguenti parole di Paolo ai Colossesi: "E quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a pro del corpo di lui che è la Chiesa" (Col. 1:24), e gli danno questo significato: ‘Noi dobbiamo cooperare con Cristo per la nostra salvezza mediante le nostre opere meritorie, quindi con i nostri patimenti; e questo perché noi dobbiamo compiere quello che manca alle afflizioni di Cristo’. Quindi quando si sente parlare di redenzione ai Cattolici bisogna tenere presente le seguenti cose; che il battesimo e la penitenza sono reputati indispensabili per essere salvati (questo lo vedremo meglio più avanti), e che nel caso dell’adulto che si va a confessare dopo avere peccato ‘mortalmente’ contro Dio, la fede in Cristo soltanto non lo può in alcun modo redimere perché egli è chiamato a compiere opere di soddisfazione. Ecco perché i teologi papisti ripetono continuamente che la fede soltanto non salva, che non basta soltanto credere per essere salvati: perché secondo loro per essere salvati occorre la fede e le buone opere [3]. Ma le cose non stanno affatto così, perché se per essere salvati da Cristo oltre la fede sono necessarie delle opere giuste allora la salvezza cessa automaticamente di essere per grazia ossia gratuita.

Confutazione

Si viene liberati dalla legge del peccato e della morte credendo in Gesù e quindi per grazia

La sacra Scrittura afferma che tutti hanno peccato, perciò tutti sono schiavi del peccato che commettono secondo che é scritto: "Chi commette il peccato è schiavo del peccato" (Giov. 8:34); ed essa afferma che per essere affrancati dalla schiavitù del peccato bisogna soltanto ravvedersi dai propri peccati e credere nel Signore nostro Gesù Cristo [4]. Quindi, è da escludersi sia che il battesimo (sia per infusione che per immersione) salva dal peccato, perché la fede (che è quella che salva) deve precedere e precede il battesimo; e sia che la confessione al prete redima dal peccato perché, secondo la Scrittura, c’è bisogno solo di pentirsi e di credere col cuore in Cristo Gesù per ottenere la redenzione dal peccato, senza bisogno alcuno di un mediatore terreno. Le seguenti Scritture attestano in maniera inequivocabile che si viene salvati soltanto mediante la fede, e quindi non mediante il battesimo che segue la fede e neppure tramite delle opere buone.

• Paolo e Sila, quando il carceriere di Filippi chiese loro: "Signori, che debbo io fare per esser salvato?" (Atti 16:30), gli risposero: "Credi nel Signor Gesù, e sarai salvato tu e la casa tua" (Atti 16:31).

Essi non gli dissero: ‘Fatti battezzare e sarai salvato’ e neppure: ‘Fai delle opere buone e sarai salvato’, perché sapevano che l’uomo viene salvato mediante la fede nel Signore Gesù e non mediante il battesimo o delle opere buone. Ma poniamo il caso che questa domanda sia fatta ad un prete, che risponderà egli? Egli risponderà così: devi farti innanzi tutto battezzare, devi credere tutte le cose che Dio ha rivelate alla sua Chiesa e che sono nella Bibbia e nella tradizione e poi devi fare delle opere giuste. Dopo avere fatto tutto ciò però non puoi essere certo di essere salvato perché potresti cadere in qualche peccato mortale e perdere così la grazia ricevuta; in questo caso comunque c’è la confessione che ti salva. Ma per fare una buona confessione occorrono diverse cose e poi che tu faccia le opere prescritte dal confessore. Studiati di ricevere i sacramenti della chiesa e di fare del tuo meglio e spera di essere salvato ma non dire mai che sei salvato: questa è sfacciata presunzione. Ma ditemi: Non è tutto ciò una via molto complicata e del tutto insicura?

• Cornelio era un uomo pio e temente Dio con tutta la sua casa, e faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio del continuo, ma nonostante ciò non era ancora stato salvato dai suoi peccati quando l’angelo di Dio gli apparve in visione dicendogli di mandare a chiamare Simon Pietro. Questo é confermato dal fatto che l’angelo gli disse: "Manda a Ioppe, e fa’ chiamare Simone, soprannominato Pietro; il quale ti parlerà di cose, per le quali sarai salvato tu e tutta la casa tua" (Atti 11:13,14). Cornelio fu salvato quando accettò per fede le parole che Pietro disse in casa sua. Quindi, quest’uomo non fu salvato né dal battesimo (che gli fu ministrato dopo che credette) e neppure dalle sue elemosine ma fu salvato dalla sua fede nel Vangelo che Pietro gli predicò. Certamente se le preghiere e le elemosine che faceva Cornelio fossero state sufficienti per la sua salvezza non ci sarebbe stato bisogno ch’egli udisse l’Evangelo e credesse in esso. Il fatto è però che Cornelio benché temesse Dio, lo pregasse e facesse molte elemosine era ancora perduto e schiavo del peccato. Fu indispensabile anche per lui sentire l’Evangelo e credere in esso per essere salvato perché la salvezza non la conferisce il battesimo e non è il frutto di opere buone ma il dono di Dio che si riceve credendo e non operando.

• Paolo disse ai Romani: "Sia ringraziato Iddio che eravate bensì servi del peccato, ma avete di cuore ubbidito a quel tenore d’insegnamento che v’è stato trasmesso; ed essendo stati affrancati dal peccato, siete divenuti servi della giustizia" (Rom. 6:17,18). I credenti di Roma furono salvati dai loro peccati ubbidendo al Vangelo, cioè credendo nel Vangelo, e non mediante il battesimo o per avere fatto delle opere buone.

• Paolo disse ai Romani: "Io non mi vergogno dell’Evangelo; perché esso é potenza di Dio per la salvezza d’ogni credente" (Rom. 1:16); questo significa che è il messaggio della Buona Novella che libera dai peccati tutti coloro che credono in esso. E noi siamo testimoni della salvezza operata dal Vangelo in coloro che erano schiavi di ogni sorta di iniquità: uomini che nel passato erano fornicatori, sodomiti, ladri, ubriachi, avari, stregoni, bugiardi, sono stati liberati dal peccato a cui essi ubbidivano soltanto mediante la loro fede nel Vangelo. Essi non avrebbero mai potuto essere liberati dalla schiavitù delle loro passioni peccaminose mediante il battesimo, o mortificando il loro corpo, o facendo elemosine, visitando gli ammalati, le vedove e gli orfani, o dando da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, e questo sempre perché si viene liberati dalla schiavitù del peccato credendo, soltanto credendo, il che precede sempre il battesimo e il buon operare ordinato da Dio ai credenti.

• Paolo dice agli Efesini: "Poiché gli è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non vien da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù d’opere, affinché niuno si glorî.." (Ef. 2:8,9). Noi che abbiamo creduto nel Vangelo della nostra salvezza siamo stati liberati dai nostri peccati mediante la sola fede nel Vangelo; nessuno di noi può dire di essere stato salvato dai suoi peccati mediante il battesimo o per avere fatto delle elemosine, delle visite agli ammalati, alle vedove e agli orfani, o per avere dato da mangiare, da bere e da vestire a coloro che ne avevano bisogno, appunto perché non é in virtù del battesimo in acqua o di opere buone che abbiamo ottenuto questa grande salvezza, ma soltanto, e lo ripeto soltanto, per avere creduto nel Vangelo della grazia di Dio. Se si potesse essere salvati mediante delle opere buone, Cristo sarebbe morto inutilmente, e sarebbe quindi inutile predicare l’Evangelo a tutti quegli uomini che pensano di pervenire alla salvezza facendo il bene a se stessi ed agli altri. Ma oltre a ciò, bisogna dire che se si potesse essere salvati mediante delle opere buone, gli uomini avrebbero di che gloriarsi nei confronti di Dio, perché potrebbero dire di essersi meritati la salvezza, in altre parole potrebbero dire che essa è stata il frutto delle loro fatiche, e non direbbero mai e poi mai che essa é il frutto del tormento dell’anima di Cristo Gesù. Essi potrebbero dire che sono stati loro a soffrire per salvarsi, e non più che Cristo, il Giusto, ha sofferto per noi ingiusti per affrancarci dalla schiavitù del peccato. Ma, come diceva Paolo ai Romani, "dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per qual legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede" (Rom. 3:27), poiché noi riteniamo che l’uomo venga salvato mediante la sua fede in Gesù Cristo. Ecco, perché noi non abbiamo nulla di che vantarci, perché siamo stati salvati mediante la legge della fede, e quindi per grazia. Sì, per la grazia di Dio; perché noi abbiamo dovuto solo credere nel Signore Gesù per essere salvati.

• Paolo dice ai Tessalonicesi: "Ma noi siamo in obbligo di render del continuo grazie di voi a Dio, fratelli amati dal Signore, perché Iddio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità" (2 Tess. 2:13). L’apostolo rendeva grazie a Dio perché a Dio era piaciuto, in base al suo proponimento eterno, di salvare i credenti di Tessalonica. Ma come li aveva salvati Dio i Tessalonicesi? Mediante il battesimo o le opere buone forse? No, ma mediante la santificazione dello Spirito e la fede nella verità. Ancora una volta la Scrittura conferma che la salvezza si ottiene non mediante il battesimo e neppure tramite le opere buone, ma mediante la fede nella verità. Dove sono quindi i meriti dell’uomo? Sono esclusi per la legge della fede.

• Paolo dice ai Corinzi: "Fratelli, io vi rammento l’Evangelo che v’ho annunziato, che voi ancora avete ricevuto, nel quale ancora state saldi, e mediante il quale siete salvati..." (1 Cor. 15:1), poi dice loro l’Evangelo che gli aveva annunziato, ed infine dice: "Così noi predichiamo, e così voi avete creduto" (1 Cor. 15:11). Da questo discorso di Paolo si deduce che i Corinzi erano stati salvati mediante la loro fede nel Vangelo e non mediante il battesimo (che pure essi avevano subito ricevuto dopo avere creduto) o per avere fatto opere buone. Alcuni di loro erano stati adulteri, fornicatori, idolatri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, rapaci, ubriachi e oltraggiatori; ma erano stati salvati dai loro peccati mediante la sola fede nel Vangelo, che avevano riposto in esso prima di farsi battezzare, senza le opere della legge. Per questo il messaggio di Cristo è chiamato la Buona Novella della pace; perché per ottenere pace con Dio, cioè per essere riconciliati con Dio, i peccatori non devono compiere opere meritorie, ma devono solo ravvedersi e credere nel nome di Gesù Cristo. D’altronde che buona novella sarebbe il messaggio di Cristo se esso dicesse che per essere salvati dal peccato bisogna compiere delle opere buone? Non sarebbe tutto ciò in contraddizione netta con l’essenza del Vangelo? Certo che lo sarebbe; sarebbe come dire che Gesù è venuto a salvarci gratuitamente, senza richiederci nient’altro che il ravvedimento e la fede in lui, ma noi dobbiamo cooperare con lui (compiere opere giuste) per essere salvati dai peccati!

• Paolo dice nell’epistola a Tito: "Anche noi eravamo una volta insensati, ribelli, traviati, servi di varie concupiscenze e voluttà, menanti la vita in malizia ed invidia, odiosi e odiantici gli uni gli altri. Ma quando la benignità di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini sono stati manifestati, Egli ci ha salvati non per opere giuste che noi avessimo fatte, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo..." (Tito 3:3-5). Da queste parole di Paolo si apprendono chiaramente due cose: la prima è che noi siamo stati salvati e perciò possiamo affermare di essere salvati, senza il pericolo di peccare di presunzione; la seconda é che questa salvezza l’abbiamo ottenuta non mediante il battesimo e neppure per avere compiuto opere meritorie ma esclusivamente per la misericordia di Dio il quale ci ha fatto rinascere a nuova vita mediante la Parola di Dio piantata in noi (il lavacro della rigenerazione) e mediante il rinnovamento operato in noi dallo Spirito Santo.

• Paolo dice a Timoteo che Dio "ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non secondo le nostre opere, ma secondo il proprio proponimento e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù avanti i secoli, ma che è stata ora manifestata coll’apparizione del Salvator nostro Cristo Gesù..." (2 Tim. 1:9,10). L’apostolo dice per l’ennesima volta che Dio ci ha salvati per grazia senza che noi abbiamo fatto alcun che di buono; ma egli dice anche che Dio ci ha fatto grazia avanti i secoli, cioè avanti la fondazione del mondo. E se ciò non bastasse a fare capire che la nostra salvezza non è dipesa affatto da delle opere buone da noi compiute, ma esclusivamente da Dio al quale è piaciuto salvarci senza che meritassimo alcun che, citiamo anche le seguenti parole di Paolo ai Romani su Esaù e Giacobbe: "Prima che fossero nati e che avessero fatto alcun che di bene o di male, affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama, le fu detto: Il maggiore servirà al minore" (Rom. 9:11,12), e queste altre: "Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia" (Rom. 9:16). Dinanzi a tali parole cadono per l’ennesima volta tutti quei ragionamenti dei teologi papisti che attribuiscono la salvezza a delle opere meritorie.

• Pietro disse a Gerusalemme, dinanzi agli altri apostoli e agli anziani: "Anzi, noi crediamo d’esser salvati per la grazia del Signor Gesù, nello stesso modo che loro" (Atti 15:11). Ora, qui Pietro disse che loro che erano Giudei di nascita erano salvati per grazia nella stessa maniera in cui lo erano i Gentili; e questo quantunque essi fossero circoncisi nella carne e avessero la legge di Mosè con i comandamenti di Dio. Ma perché Pietro non poté dire che loro che erano Giudei erano stati salvati per le opere della legge, mentre i Gentili, che non avevano la legge, erano stati salvati per grazia? Perché anche loro Giudei per essere salvati avevano dovuto soltanto credere (e quindi non si erano meritati la salvezza mediante la legge), nella stessa maniera che i Gentili. Le parole di Pietro fanno chiaramente capire che per essere salvati si deve solo credere e non operare, perché la salvezza di Dio è offerta gratuitamente sia ai Giudei che ai Gentili.

• Gesù nei giorni della sua carne disse queste parole a due donne: "La tua fede t’ha salvata" (Luca 8:48; 7:50): le disse alla donna che fu guarita dal suo flusso di sangue, e a quella donna peccatrice che gli rigò di lacrime i suoi piedi e glieli asciugò coi suoi capelli e glieli unse d’olio. Ad uno di quei dieci lebbrosi che egli guarì, ed a Bartimeo disse le medesime parole, vale a dire: "La tua fede t’ha salvato" (Luca 17:19; 18:42). Anche queste Scritture confermano che é soltanto mediante la fede che si viene salvati e non mediante il battesimo o per opere buone. Perché se Gesù avesse creduto che era il battesimo a salvare non avrebbe potuto dire "la tua fede ti ha salvato" ma avrebbe dovuto dire: ‘Vieni a farti battezzare e sarai salvato’; e se credeva che era la fede più le opere buone avrebbe dovuto dire: ‘Va prima a fare opere degne di ravvedimento e allora conseguirai la salvezza dai tuoi peccati perché solo la fede non basta a salvarti’.

• Paolo dice ai Romani: "Questa è la parola della fede che noi predichiamo; perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore, e avrai creduto col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti col cuore si crede per ottener la giustizia e con la bocca si fa confessione per esser salvati. Difatti la Scrittura dice: Chiunque crede in lui, non sarà svergognato. Poiché non v’è distinzione fra Giudeo e Greco; perché lo stesso Signore è Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano; poiché chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvato" (Rom. 10:8-13).

Come potete vedere per essere salvati non ci vuole il battesimo e non é necessario fare opere buone, ma é necessario confessare con la propria bocca Gesù come Signore, e credere col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti. Non è semplice e chiara la via della salvezza che propone la Scrittura? Certo che lo è. Ma provate a prendere nelle vostre mani un qualsiasi libro di teologia dogmatica e cercatevi il come si ottiene la salvezza per la chiesa papista e vi accorgerete subito dalle prime parole di quanto essa sia estremamente complicata ed incerta pure, tanto da farvi perdere subito la voglia di continuare a leggere. Per farvi comprendere come noi dalle grandi acque non siamo stati tirati fuori perché ci siamo sottoposti al rito del battesimo o per meriti nostri, ma soltanto perché abbiamo invocato il nome del Signore, vi ricordo un episodio che avvenne sul mare di Tiberiade ai giorni di Gesù. Gesù, una notte, mentre i suoi discepoli erano nella barca in mezzo al mare, andò alla loro volta camminando sul mare. I suoi discepoli quando lo videro si misero a gridare dalla paura pensando di vedere un fantasma, ma Gesù li rassicurò dicendo loro di non temere perché era lui. Quando Pietro sentì dirgli questo, gli disse di comandargli di camminare sulle acque se era lui. Gesù gli disse: "Vieni! E Pietro, smontato dalla barca, camminò sulle acque e andò verso Gesù. Ma vedendo il vento, ebbe paura; e cominciando a sommergersi, gridò: Signore, salvami! E Gesù, stesa subito la mano, lo afferrò e gli disse: O uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Matt. 14:29-31). Ricordando la nostra vita passata, vissuta al servizio dell’iniquità e dell’impurità, dobbiamo dire che noi ci trovavamo in una fossa di perdizione, in un pantano fangoso, dove i nostri piedi non trovavano dove appoggiarsi, ma nell’angoscia del nostro cuore abbiamo invocato il nome del Signore dicendogli: ‘Signore, salvaci’, e lui, nella sua fedeltà, avendo udito il nostro grido, ci ha tirati fuori dalla melma nella quale ci dibattevamo. Ma che abbiamo fatto per uscire fuori da essa? Ci siamo dovuti fatti immergere nell’acqua o abbiamo fatto qualche opera buona forse? No, ma abbiamo soltanto gridato al Signore, come fece Pietro in quella notte sul mare Tiberiade. Tutto ciò a conferma che "chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvato" (Rom. 10:13).

Infine vogliamo dire alcune parole sull’interpretazione papista data alle parole di Paolo ai Colossesi a sostegno della salvezza per opere. Questa loro interpretazione datagli è del tutto arbitraria, perché se fosse così come dicono loro allora dovremmo affermare che Cristo non ha sofferto a sufficienza per liberarci dai nostri peccati, e che ci sono delle sofferenze che l’uomo deve patire per meritarsi la salvezza. Ma che vanno cianciando i teologi papisti? Le sofferenze di Cristo sono state complete; non rimangono mortificazioni corporali da compiere per l’uomo peccatore perché quelle di Cristo sono sufficienti per la sua salvezza. Quel "quel che manca alle afflizioni di Cristo" (Col. 1:24) di cui parla Paolo non sono le afflizioni di Cristo mancanti che bisogna compiere per meritarsi la salvezza; perché di queste afflizioni non ce ne sono. Ma esse sono quelle afflizioni che i credenti, che sono già salvati, sono chiamati a patire per Cristo secondo che è scritto: "Poiché a voi è stato dato, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui" (Fil. 1:29); e mediante le quali i credenti vengono reputati degni del regno di Dio secondo che è scritto: "E se siamo figliuoli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui" (Rom. 8:17).

I riscattati devono compiere opere buone per rendere sicura e ferma la loro vocazione ed elezione

La Scrittura dice chiaramente che noi non siamo stati salvati mediante delle opere giuste, ma mediante la fede in Cristo e quindi per la grazia di Dio. Ma la stessa Scrittura dice altresì chiaramente che noi ora che siamo salvati dobbiamo compiere opere buone. Paolo disse infatti agli Efesini che noi siamo "stati creati in Cristo Gesù per le buone opere, le quali Iddio ha innanzi preparate affinché le pratichiamo" (Ef. 2:10); ed a Tito che Gesù Cristo "ha dato se stesso per noi affin di riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante nelle opere buone" (Tito 2:14). Ma ancora prima di Paolo questo concetto lo aveva spiegato il Signore Gesù Cristo il quale aveva detto ai suoi discepoli di averli scelti affinché praticassero le opere buone. Ecco le sue parole: "Non siete voi che avete scelto me, ma son io che ho scelto voi, e v’ho costituiti perché andiate, e portiate frutto, e il vostro frutto sia permanente" (Giov. 15:16). Ma perché dobbiamo essere zelanti nelle opere buone? Perché Gesù ha detto: "In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli" (Giov. 15:8), ed anche: "Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, affinché veggano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è ne’ cieli" (Matt. 5:16) volendo significare che noi compiendo opere buone faremo glorificare il nome di Dio. Oltre a ciò va tenuto presente che noi facendo opere buone ci facciamo un tesoro nel cielo che costituisce il premio che il Signore ci darà in quel giorno (il che per noi è uno stimolo). Gesù infatti quando disse al giovane ricco di vendere tutto quello che aveva e darlo ai poveri gli disse: "ed avrai un tesoro nei cieli" (Matt. 19:21), e Paolo disse a Timoteo di ordinare ai ricchi di essere "ricchi in buone opere, pronti a dare, a far parte dei loro averi, in modo da farsi un tesoro ben fondato per l’avvenire" (1 Tim. 6:18,19).

Vi ricordo infine fratelli che le opere buone possono essere presenti nella nostra vita solo se osserviamo i comandamenti di Dio secondo che é scritto: "Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto.." (Giov. 15:5); ma saranno assenti se noi non osserviamo i comandamenti di Dio perché é scritto: "Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppur voi, se non dimorate in me" (Giov. 15:4). Per concludere diciamo questo: noi credenti sappiamo che per la nostra fede siamo stati salvati dal peccato e dal presente secolo malvagio, e che per le fatiche del nostro amore (le nostre opere buone) saremo premiati, cioè riceveremo da Dio il frutto delle opere che abbiamo compiute sulla terra per amore del Signore e degli eletti.

 

LA GIUSTIFICAZIONE

La dottrina dei teologi papisti

La giustificazione si ottiene per fede più le opere. La teologia papista dice che per ottenere la giustificazione non è sufficiente credere, ossia che per essere dichiarati giusti da Dio non basta solo credere in Gesù Cristo. Ecco infatti come si esprime Bartmann: ‘Per ottenere la giustificazione sono richiesti dall’adulto, oltre la fede, anche altri atti di virtù; la fede sola non giustifica - E’ di fede’ (Bartmann Bernardo, Manuale di Teologia dogmatica, Alba 1949, vol. II, pag. 315). Questo equivale a dire che la giustificazione non si ottiene per la grazia di Dio ma per meriti propri, infatti se oltre la fede ci vuole qualche atto di virtù da parte dell’uomo ciò vuole dire che la giustificazione non è del tutto gratuita, perché Dio vuole che l’uomo faccia qualcosa di buono per conseguirla. Ma che cosa deve fare l’uomo per conseguire la giustificazione secondo la teologia papista? Innanzi tutto deve farsi battezzare perché il concilio di Trento ha affermato che la giustificazione viene concessa da Dio mediante il battesimo: ‘Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede, senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione’ (Concilio di Trento, Sess. VI, cap. VII) [5], e poi deve confessarsi al prete per ottenere la remissione dei cosiddetti peccati mortali compiuti dopo il battesimo e compiere opere buone perché quest’ultime sono giustificanti ed espiatorie. A sostegno di questa giustificazione per opere prendono le seguenti parole di Giacomo: "Abramo, nostro padre, non fu egli giustificato per le opere quando offrì il suo figliuolo Isacco sull’altare? Tu vedi che la fede operava insieme con le opere di lui, e che per le opere la sua fede fu resa compiuta; e così fu adempiuta la Scrittura che dice: E Abramo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia; e fu chiamato amico di Dio. Voi vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto" (Giac. 2:21-24), e dicono che esse confermano pienamente la loro dottrina secondo la quale per ottenere la giustificazione non basta solo la fede perché Dio richiede altri atti di virtù, e che quindi esse abbattono uno dei princìpi fondamentali del ‘protestantesimo’! In difesa di questa dottrina sulla giustificazione il concilio di Trento ha emesso i seguenti anatemi: ‘Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono necessari alla salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini con la sola fede ottengono da Dio la grazia della giustificazione, anche se non sono tutti necessari a ciascuno; sia anatema’ (Concilio di Trento, Sess. VII, can. 4. Il termine anatema deriva dal greco anathema che significa ‘maledetto’): ‘Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà; sia anatema’ (Concilio di Trento, Sess. VI, can. 9).

Confutazione

Si viene giustificati dai propri peccati mediante la fede in Gesù

Ma le cose non stanno affatto così come dicono i teologi papisti perché la Scrittura insegna che si viene giustificati da Dio soltanto mediante la fede. Ora, in questo caso noi non parleremo del perché il battesimo non giustifica (anche se avete già compreso che dato che si viene giustificati soltanto per la fede che precede il battesimo, quest’ultimo non può in niuno modo giustificare), e neppure del perché la confessione al prete non può giustificare (di questi loro sacramenti parleremo più diffusamente in appresso), ma dimostreremo con le Scritture che l’uomo è giustificato solo per fede perché le opere giuste non possono in niuno modo giustificarlo [6].

Noi tutti eravamo nemici di Dio nelle nostre opere malvagie e nella nostra mente e questo perché noi tutti camminavamo secondo le concupiscenze della carne; ma quando Dio ha manifestato il suo amore verso noi, Egli ci ha giustificati, cioè ci ha resi giusti nel suo cospetto, cancellandoci tutti i nostri peccati. E mediante la giustificazione noi siamo stati riconciliati con Dio e siamo diventati suoi amici secondo che é scritto: "L’amicizia sua è per gli uomini retti" (Prov. 3:32). E questa giustificazione che noi abbiamo ottenuto l’abbiamo ricevuta per fede, e quindi per grazia e non per opere. Le seguenti Scritture lo attestano in maniera chiara.

• Paolo dice ai Romani: "Giustificati dunque per fede, abbiam pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore..." (Rom. 5:1); e: "Tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio, e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù" (Rom. 3:23,24), ed ancora: "Ma Iddio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, sarem per mezzo di lui salvati dall’ira" (Rom. 5:8,9); le parole "giustificati per il suo sangue" significano che noi siamo giustificati mediante la fede nel sangue di Cristo. E sempre ai Romani Paolo dice: "Se per il fallo di quell’uno la morte ha regnato mediante quell’uno, tanto più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di quell’uno che è Gesù Cristo" (Rom. 5:17). Notate le parole "il dono della giustizia"; esse mostrano che la giustizia di Dio (la giustificazione) si ottiene gratuitamente da Dio essendo un dono di Dio. Essa si può ottenere appunto credendo nel Figliuolo di Dio: ogni merito personale quindi è escluso. Un altro versetto della lettera ai Romani che attesta che per essere giustificati bisogna solo credere in Cristo è quello che dice che "il termine della legge è Cristo, per esser giustizia ad ognuno che crede" (Rom. 10:4).

• Paolo dice ai Galati: "Avendo pur nondimeno riconosciuto che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù affin d’esser giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge.." (Gal. 2:16); e: "La legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede" (Gal. 3:24); ed ancora: "La Scrittura, prevedendo che Dio giustificherebbe i Gentili per la fede, preannunziò ad Abramo questa buona novella: In te saranno benedette tutte le genti" (Gal. 3:8) (questo é avvenuto perché noi siamo stati benedetti da Dio mediante la fede in Cristo che é la progenie d’Abramo). E sempre ai Galati vi sono queste parole: "Se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge; ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi alla fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti" (Gal. 3:21,22). E tra questi "beni promessi" vi è pure la giustizia di Dio (quindi la giustificazione); a chi viene data? A chi crede o a chi opera? A chi crede perché essa è stata promessa alla fede in Gesù.

• "Il giusto vivrà per la sua fede" (Hab. 2:4): queste parole Dio le rivolse al profeta Habacuc, preannunziando in questa maniera che Egli avrebbe giustificato gli uomini per fede ("il circonciso per fede, e l’incirconciso parimente mediante la fede") (Rom. 3:30).

Queste altre Scritture invece attestano che coloro che si basano sulle opere della legge non vengono giustificati e non verranno giustificati nel cospetto di Dio:

• "Per le opere della legge nessuna carne sarà giustificata" (Gal. 2:16);

• "L’uomo non è giustificato per le opere della legge" (Gal. 2:16);

• "Poiché tutti coloro che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione; perché è scritto: Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica! Or che nessuno sia giustificato per la legge dinanzi a Dio, è manifesto perché il giusto vivrà per fede" (Gal. 3:10,11);

• "Per le opere della legge nessuno sarà giustificato al suo cospetto; giacché mediante la legge è data la conoscenza del peccato" (Rom. 3:20).

Per dimostrarvi come non si venga giustificati per opere ma solo per fede vi ricordo l’esempio di Abramo nostro padre. Ora, Abramo, secondo ciò che dice la Scrittura, fu giustificato da Dio mediante la sua fede nella promessa fattagli da Dio (cfr. Gen. 15:6), e questa giustificazione la ottenne dopo che egli uscì da Ur dei Caldei (cfr. Gen. 12:4) e dopo che egli diede la decima del meglio della preda a Melchisedec, sacerdote dell’Iddio altissimo (cfr. Gen. 14:20).

Quindi, ribadiamo con forza le seguenti cose:

Abramo non fu giustificato da Dio perché o quando ubbidì all’ordine di Dio: "Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò..." (Gen. 12:1). Certo, nell’epistola agli Ebrei è scritto che "per fede Abramo, essendo chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo ch’egli avea da ricevere in eredità.." (Ebr. 11:8), ma rimane il fatto che non fu questo atto di ubbidienza di Abramo ad essergli messo in conto di giustizia;

Abramo non fu giustificato da Dio perché o quando diede la decima a Melchisedec; certo, egli fece qualcosa di buono che Dio gradì (quella sua decima la ricevette in cielo uno di cui si attesta che vive), ma ciò nonostante non fu in virtù di quella opera buona che Abramo fu giustificato da Dio;

Abramo fu giustificato da Dio perché credette alla promessa di Dio secondo che é scritto: "Or Abramo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia" (Rom. 4:3; Gen. 15:6); per questo anche Abramo non aveva nulla di che gloriarsi nel cospetto di Dio.

Ma vi è un altro esempio di un uomo giustificato da Dio per grazia mediante la sua fede, senza le opere della legge; è quello di quel pubblicano che Gesù disse che era salito nel tempio per pregare assieme ad un Fariseo. Egli "non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, sii placato verso me peccatore" (Luca 18:13), e per essersi umiliato davanti a Dio, mediante la sua fede fu giustificato secondo che è scritto: "Io vi dico che questi scese a casa sua giustificato..." (Luca 18:14). Al contrario, il Fariseo che ringraziava Iddio di non essere rapace, ingiusto e adultero come gli altri uomini, e faceva notare a Dio che lui pagava la decima sulle sue entrate, che digiunava due volte alla settimana e che non era come quel pubblicano, non fu giustificato. Non è questo una ulteriore conferma che la giustificazione si ottiene soltanto mediante la fede per la grazia di Dio senza le opere? Certo che lo è. Errano grandemente quindi i teologi papisti quando affermano che per essere giustificati da Dio non è sufficiente la fede in Dio.

Ma perché la giustificazione non si può ottenere mediante le opere giuste della legge? Il motivo per cui la giustizia non si può ottenere per mezzo delle opere della legge é perché la legge é stata data per dare agli uomini la conoscenza del peccato (cfr. Rom. 3:20) e per fare abbondare il peccato (cfr. Rom. 5:20), e non per rendere giusti gli uomini. Dio, per rendere giusti gli uomini, ha dato il suo Unigenito Figliuolo, infatti é tramite il Figliuolo che é venuta la grazia e che noi siamo stati giustificati.

Ora, abbiamo visto che la Scrittura dice che per le opere della legge l’uomo non può essere giustificato dai suoi peccati, perché la legge non ha il potere di giustificare il peccatore; vediamo quindi da vicino alcune di queste opere della legge che non giustificano chi le compie. Nella legge è detto: "Porterai alla casa dell’Eterno, ch’è il tuo Dio, le primizie de’ primi frutti della terra" (Es. 23:19); "Se vedi smarriti il bue o la pecora del tuo fratello, tu non farai vista di non averli scorti, ma avrai cura di ricondurli al tuo fratello" (Deut. 22:1); "Ogni creditore sospenderà il suo diritto relativamente al prestito fatto al suo prossimo; non esigerà il pagamento dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l’anno di remissione in onore dell’Eterno" (Deut. 15:2); "Allorché, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche manipolo, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando scoterai i tuoi ulivi, non starai a cercar le ulive rimaste sui rami; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non starai a coglierne i raspolli; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova" (Deut. 24:19-21). Queste non sono che alcune delle opere buone che Dio prescrisse nella legge di Mosè perché ve ne sono molte altre. Esse sono tutte delle opere giuste; eppure per esse non si può essere giustificati dai propri peccati! Non è abbastanza chiara la Scrittura a tale riguardo? Certo che lo è; ma non per la curia romana che non intende rettamente la Parola di Dio; e si illude e fa illudere le persone dicendo che si viene giustificati da Dio mediante i sacramenti e compiendo opere buone: perché i sacramenti (battesimo e penitenza) rendono giusti gli uomini e le opere buone sono giustificanti! Parlando in questa maniera i teologi papisti annullano la grazia e riducono la morte espiatoria compiuta da Cristo meramente ad un gesto d’amore con il quale Dio ha voluto aiutare gli uomini ad autogiustificarsi! La stessa cosa si deve dire della risurrezione di Cristo; essa aiuta a conseguire la giustificazione ma non è sufficiente a giustificare l’uomo, secondo loro! O guide cieche, ma quando rientrerete in voi stessi, e riconoscerete che per essere giustificati è sufficiente la sola fede nel Signore Gesù Cristo?

Abbiamo visto prima che i vertici della chiesa romana oltre ad affermare che è mediante i loro sacramenti che si ottiene la giustificazione, ci dichiarano maledetti perché noi affermiamo che l’uomo viene giustificato soltanto mediante la fede senza i loro sacramenti e senza le opere giuste! Ma costoro periscono per mancanza di conoscenza delle Scritture perché se le conoscessero e le tagliassero rettamente non direbbero tali cose. E’ scritto chiaramente in Isaia che tutta la giustizia dell’uomo è "come un abito lordato" (Is. 64:6), quindi non importa quante opere giuste fanno gli uomini per essere giustificati davanti a Dio, se essi non si ravvedono e non credono nel Vangelo continuano ad essere considerati dei peccatori davanti a Dio e questo perché non con le mani si fa qualcosa per ottenere la giustizia ma "col cuore si crede per ottener la giustizia" (Rom. 10:10), come dice Paolo ai Romani. ‘E’ troppo semplice per essere vero!’, esclamano i Cattolici romani a riguardo della maniera in cui si viene giustificati. Certo che agli occhi loro è troppo semplice e non credono che sia vero; gli viene continuamente detto che si viene giustificati compiendo sacrifici e gli viene tenuta nascosta la parola che dice: "Mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è messa in conto di giustizia" (Rom. 4:5). (notate quel "a chi non opera" che significa ‘a chi non si appoggia sulle opere giuste per la sua salvezza’) Che cosa ci si può aspettare quindi che dicano?

A voi uomini che ritenete di poter essere giustificati per le opere e rifiutate di essere giustificati gratuitamente da Cristo Gesù dico questo: ‘Sappiate che tenendo una simile condotta voi non fate altro che conservare addosso i vostri abiti sudici (i peccati) e rinunciare alla veste bianca (la giustizia di Dio) di cui vengono rivestiti tutti coloro che cessano di appoggiarsi sulle proprie opere e credono nel Signore Gesù per essere giustificati. Di conseguenza voi continuate ad avere sopra di voi l’ira di Dio perché siete ancora sotto maledizione. Riflettete o uomini e donne; non comprendete che, come dice Paolo, "se la giustizia si ottiene per mezzo della legge, Cristo è dunque morto inutilmente" (Gal. 2:21), e che cercando di essere giustificati per le opere della legge non fate altro che annullare la grazia di Dio e rendere vana la fede per voi stessi? Fate dunque questo; non appoggiatevi più sulle vostre opere per essere giustificati ma soltanto credete che Gesù è il Cristo che è morto per i vostri peccati e risuscitato dai morti il terzo giorno’.

Se è per grazia non è più per opere, e se è per opere non è più per grazia

A questo punto voglio dire qualcosa d’altro che ritengo importante: i teologi papisti quando parlano della giustificazione fanno dei discorsi nei quali da un lato affermano che la giustificazione è gratuita (e per fare questo si usano dei passi della Scrittura che attestano chiaramente che l’uomo viene giustificato da Dio per grazia), e dall’altro affermano che la giustificazione dipende pure dalle opere che compie l’uomo. Sembrerà strano a molti ma è proprio così; e di questo ci si accorge leggendo i loro libri. E’ chiaro che le loro affermazioni sono contraddittorie, (notate per esempio come sono contraddittorie le parole del concilio tridentino secondo cui la grazia della giustificazione non si può ottenere soltanto per fede perché sono richieste altre cose oltre la fede per ottenerla; ma se è una grazia perché mai non basta la fede per conseguirla? Ma che tipo di grazia è allora? Una grazia che si merita? Ma allora non è più grazia perché la grazia si ottiene senza fare nulla ma solo credendo in Dio!) ma nonostante ciò essi cercano di conciliarle in ogni maniera, non riuscendoci perché è impossibile conciliare la dottrina che dice che l’uomo viene giustificato da Dio soltanto mediante la fede senza le opere buone, e quella che dice che l’uomo deve cooperare con Dio compiendo opere buone per essere giustificato. Se si accetta la giustificazione per sola fede si deve scartare la giustificazione per opere, e se si accetta la giustificazione per meriti si deve scartare la giustificazione per sola fede. La ragione per cui essi fanno questi discorsi ambigui e contraddittori fra loro è per difendere e sostenere a tutti i costi tutto quel bagaglio di dottrine che hanno accumulato nel corso dei secoli; mi riferisco alla dottrina che dice che la grazia si ottiene mediante i sacramenti, quindi operando e non credendo; e alla dottrina del purgatorio, a quella sulle opere di soddisfazione, a quella sulle indulgenze, e tante e tante altre dottrine fondate sul dogma della giustificazione per opere. Loro si rendono conto che riconoscere la dottrina della giustificazione per sola fede significherebbe dover rigettare tutte queste dottrine qui sopra citate, perché non ci sarebbe più bisogno di crederle e di professarle; perciò cercano in tutte le maniere di fare credere che l’uomo viene giustificato mediante le opere. Ho voluto fare questo discorso per farvi comprendere che se i teologi papisti attaccano con tanto vigore la dottrina della giustificazione per sola fede e cercano di annullarla con ogni sorta di vano ragionamento, è perché devono a tutti costi mantenere credibili la false dottrine papiste fondate sui meriti, in altre parole perché devono mantenere credibile la chiesa cattolica romana. Questa è la ragione per cui parlando con i Cattolici romani bisogna insistere sulla dottrina della giustificazione per sola fede così come è scritta nella Parola di Dio, per fare loro capire che siccome si viene giustificati per grazia mediante la fede tutte le dottrine sui meriti umani della chiesa romana sono false e non possono essere accettate. Certo, nel fare questo si viene perseguitati dalla curia romana e dai suoi seguaci; perché? Perché predicando che Cristo "ci è stato fatto da Dio sapienza, e giustizia, e santificazione, e redenzione" (1 Cor. 1:30, e che quindi per essere giustificati e santificati occorre soltanto credere nel Signore Gesù, noi reputiamo un nulla tutti i precetti della chiesa cattolica romana che affermano che per essere giustificati e santificati occorre compiere i suoi riti. Riti cerimoniali, che bisogna dire, per certi versi assomigliano esteriormente a quelli della legge di Mosè, e che come quelli della legge di Mosè (che erano però stati ordinati da Dio) non possono in niuno modo giustificare e santificare le persone che li compiono. Ma perché i riti cerimoniali e non cerimoniali che fanno parte della legge di Mosè, quali la circoncisione della carne, l’osservanza di giorni, mesi, anni, noviluni, l’astensione da certi cibi, le varie abluzioni, le varie aspersioni di sangue e di acqua e tante altre cose non potevano e non possono giustificare l’uomo peccatore e non possono santificarlo quanto alla coscienza? La ragione è perché, la legge avendo un ombra dei futuri beni e non la realtà stesse delle cose, non poteva e non può cancellare i peccati dalla coscienza dell’uomo e santificarlo (cfr. Ebr. 9:9,10; 10:1-4; Col. 2:16,17). Ma ora che è venuto Cristo Gesù il Sommo Sacerdote dei futuri beni promessi nella legge e nei profeti, e che egli ha sparso il suo sangue per la propiziazione dei nostri peccati, tutti quei riti sono stati portati a compimento perché ora c’è la realtà di quelle cose. Le ombre sono sparite e al loro posto c’è la realtà. Ma che ha fatto invece la curia romana? Ha tolto la realtà delle cose dinanzi al popolo e l’ha sostituita con delle specie di ombre, se così si possono chiamare, che essa si è abilmente costruite appoggiandosi sulle ombre dell’Antico Patto e facendole credere vere. E così le persone pensano che per essere giustificati bisogna ricevere sul proprio capo l’acqua benedetta del battesimo e compiere tante mortificazioni corporali ed offrire a Dio il sacrificio della messa e così via, ossia osservare i sacramenti della chiesa romana; non è questo sovvertire l’Evangelo di Cristo? Sì, certo, costoro hanno sovvertito l’Evangelo di Cristo; guai a loro; ne porteranno la pena. Noi diciamo quindi ai Cattolici romani che cercano di essere giustificati mediante i loro sacramenti e mediante opere meritorie; ‘Sappiate che questa dottrina che vi insegnano secondo la quale non potete essere giustificati se non compiete i riti prescritti dalle leggi papali non viene da Colui che vi chiama al ravvedimento ma dal diavolo che ha sedotto i papi e tutta la curia romana’.

Spiegazione delle parole di Giacomo sul valore delle opere buone

Giacomo, il fratello del Signore, ha detto: "Abramo, nostro padre, non fu egli giustificato per le opere quando offrì il suo figliuolo Isacco sull’altare? Tu vedi che la fede operava insieme con le opere di lui, e che per le opere la sua fede fu resa compiuta; e così fu adempiuta la Scrittura che dice: E Abramo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia; e fu chiamato amico di Dio. Voi vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto" (Giac. 2:21-24). Vediamo adesso di spiegare queste sue parole. Innanzi tutto diciamo che Giacomo scrisse queste parole a dei credenti e non a degli increduli infatti poco prima dice: "Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signor Gesù Cristo, il Signor della gloria, sia scevra da riguardi personali...." (Giac. 2:1); dico questo per farvi comprendere che coloro a cui queste parole furono dirette avevano la fede e perciò erano stati di già giustificati secondo che è scritto: "Avendo pur nondimeno riconosciuto che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù" (Gal. 2:16). Ma perché Giacomo parlò loro in questa maniera? Perché alcuni credenti pur avendo la fede rifiutavano di compiere le opere buone pensando che anche senza le opere la loro fede sarebbe stata sufficiente a salvarli dall’ira di Dio, illudendo così loro stessi [7]. E allora lui prima li rimproverò dicendo: "Che giova, fratelli miei, se uno dice d’aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?" (Giac. 2:14), ed ancora: "Ma vuoi tu, o uomo vano, conoscere che la fede senza le opere non ha valore?" (Giac. 2:20) facendogli capire che la sola fede nulla gli avrebbe valso, e poi facendogli l’esempio di Abramo e di Raab a conferma che le opere devono accompagnare la fede affinché questa abbia valore. Il discorso di Giacomo è imperniato sul fatto che se uno dice di avere fede, cioè di avere creduto in Cristo Gesù, ma non ha le opere la sua fede è senza valore, o, come dice in un altro luogo é morta. Sono parole dure quelle di Giacomo, ma esse ci fanno comprendere quanto siano importanti le opere buone per noi credenti; badate che Giacomo non ha detto affatto che la giustizia si ottiene mediante le opere della legge o che l’uomo peccatore viene perdonato o riceve la vita eterna in virtù delle sue opere buone; attribuire questo significato alle sue parole significherebbe dire che Giacomo aveva sovvertito l’Evangelo perché costringeva i Gentili a giudaizzare dicendo loro che si viene giustificati per le opere della legge. Il suo discorso invece ha come fine quello di scoraggiare qualsiasi credente dal pensare che dopo avere creduto anche se rifiuta di compiere opere buone sarà gradito lo stesso agli occhi di Dio e sarà salvato lo stesso. Quindi, se la fede in Dio senza le opere non ha valore come non ha valore il fatto che anche i demoni credono che v’é un Dio solo, bisogna concludere che la fede che ha valore è quella che ha le opere buone, e difatti questo è confermato dall’apostolo Paolo che dice ai Galati: "Quel che vale è la fede operante per mezzo dell’amore" (Gal. 5:6), ed ai Corinzi: "L’osservanza de’ comandamenti di Dio è tutto" (1 Cor. 7:19). Il paragone fatto da Giacomo è veramente appropriato; perché se uno ci riflette bene anche i demoni credono che c’é un Dio solo come lo crediamo noi; e se è per questo essi, quando Gesù era sulla terra, dimostrarono pure di sapere che Gesù era il Figliuolo di Dio, il Santo di Dio ed il Cristo infatti dissero a Gesù: "Tu sei il Figliuol di Dio!" (Mar. 3:11), ed ancora: "Io so chi tu sei: il Santo di Dio" (Mar. 1:24), e Luca dice che essi "sapevano ch’egli era il Cristo" (Luca 4:41). Ma non perché i demoni credono che v’é un Dio solo, o perché sanno che Gesù é il Cristo ed il Figlio di Dio, questo significa che essi saranno salvati dal fuoco eterno; affatto, perché noi sappiamo pure che essi sanno che un giorno saranno gettati nel fuoco eterno per esservi tormentati per l’eternità perché dissero a Gesù: "Sei tu venuto qua prima del tempo per tormentarci?" (Matt. 8:29); questa è la sorte che gli è riservata. Così non perché uno ha creduto in Cristo si può permettere di rifiutare di compiere opere buone, perché in tale caso nulla gli gioverebbe avere un giorno creduto.

Torniamo alle opere buone; esse servono a rendere e a mantenere viva la nostra fede nel Signore difatti se un credente cessa o rifiuta di compiere opere buone per certo la sua fede morirà e sarà come una lampada spenta che non può dare luce. Giacomo lo ha detto chiaramente: "Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta" (Giac. 2:26); a che serve un corpo senza lo spirito in esso? A nulla, perché non può parlare, non può muoversi, non può aiutare nessuno. A che serve la fede senza le opere? A nulla, perché non opera nulla a pro di coloro che sono nel bisogno; essa è morta. Anche Paolo ha parlato in una maniera simile a Giacomo quando disse ai Romani: "Se vivete secondo la carne, voi morrete" (Rom. 8:13); quindi le suddette parole di Giacomo trovano una conferma anche negli scritti di Paolo. Se un credente difatti comincia a camminare secondo la carne (rifiutando così di compiere opere buone) muore spiritualmente, benché dica di avere fede, di credere in Dio, di credere che Gesù è il Figlio di Dio, ecc.

Giacomo ha fatto l’esempio di Abramo per spiegare come il patriarca fu giustificato per le sue opere e non per la sua fede soltanto. Ora, per evitare malintesi cominciamo col dire che Abramo, secondo ciò che dice la Scrittura, quando credette alla promessa fattagli da Dio la sua fede gli fu messa in conto di giustizia secondo che è scritto: "Ed egli credette all’Eterno, che gli contò questo come giustizia" (Gen. 15:6), quindi lui ricevette il perdono dei suoi peccati mediante la sua fede, per grazia. Non fece nessuna opera meritoria od opera buona per ottenere la giustizia, perché pure lui fu giustificato da Dio mediante la fede. Difatti Paolo dice che "se Abramo è stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che gloriarsi; ma dinanzi a Dio egli non ha di che gloriarsi" (Rom. 4:2) perché la Scrittura dice che egli credette a Dio e questa sua fede gli fu messa in conto di giustizia. Quindi, Abramo ebbe fede in Dio, ma il patriarca dimostrò di avere fede in Dio sia quando credette con il suo cuore nella promessa che Dio gli aveva fatto e sia quando offrì il suo figliuolo Isacco sull’altare come gli aveva ordinato di fare Dio. Voi sapete infatti che dopo diversi anni da che Abramo aveva creduto, Dio mise alla prova Abramo ordinandogli di andare su un monte e offrire in olocausto il suo figliuolo Isacco. E Abramo ubbidì a Dio, ritenendo che Dio lo avrebbe risuscitato dai morti per adempiere a suo riguardo la promessa che aveva fatto (cfr. Ebr. 11:17-19). Quindi egli credette che avrebbe ricuperato il suo figliuolo mediante una risurrezione, e che non lo avrebbe perduto perché Dio doveva mantenere le promesse fattegli. E per questa sua fede egli piacque a Dio infatti quando egli stava per scannare Isacco l’angelo di Dio gli disse: "Non metter la mano addosso al ragazzo, e non gli fare alcun male; poiché ora so che tu temi Iddio" (Gen. 22:12) e gli giurò pure per se stesso che lo avrebbe benedetto e gli avrebbe moltiplicato la progenie come le stelle del cielo. Giacomo dice che Abramo fu giustificato per opere quando offrì il suo figliuolo e questo è vero perché Abramo mediante quell’opera che compì dimostrò di temere Dio e di credere fermamente nella sua promessa. Quindi possiamo dire che Abramo dimostrò con i fatti la fede che egli aveva in Dio; e per questo fu chiamato amico di Dio. Come Abramo pure noi che abbiamo creduto saremo chiamati amici di Cristo se facciamo ciò che egli ci comanda di fare secondo che é scritto: "Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando" (Giov. 15:14); ma se noi diciamo di credere in Cristo Gesù e poi rifiutiamo di osservare le sue parole come potremo dimostrare di credere in lui e pretendere di essere chiamati amici di Cristo e di Dio? Ci metteremmo allo stesso livello di tante persone del mondo che si dicono Cristiani, dicono di credere in Gesù, ma essendo incapaci di compiere qualsiasi opera buona dimostrano di non credere in lui. Come la fede di Abramo fu resa compiuta mediante le sue opere, così anche la nostra fede sarà resa compiuta dalle nostre opere buone. L’apostolo Pietro spiega questo concetto nella sua seconda epistola in questa maniera: "Facendo queste cose, non inciamperete giammai, poiché così vi sarà largamente provveduta l’entrata nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo" (2 Piet. 1:10,11). Quali cose? Quelle di cui lui ha parlato poco prima: cioè aggiungendo alla fede la virtù, la conoscenza, la continenza, la pazienza, la pietà, l’amore fraterno e la carità (cfr. 2 Piet. 1:5-7). Quindi anche Pietro credeva che aggiungendo alla nostra fede le opere buone (difatti la pietà, l’amore fraterno e la carità come si manifestano nella pratica se non facendo opere buone nei confronti di quelli di dentro prima e poi di quelli di fuori?) ci sarà provveduta l’entrata nel regno di Dio, o detto in un altra maniera renderemo sicura la nostra vocazione ed elezione. Riflettiamo: perché dopo avere creduto si sente la necessità di compiere opere buone? Sì, si è sicuri di essere stati perdonati dal Signore, sì, si é sicuri di essere dei figliuoli di Dio, di avere la vita eterna; ma nonostante ciò in noi è sorto il grande desiderio di darci da fare per rendere sicura la nostra elezione, perché sentiamo che dicendo solo di credere senza fare nulla a pro dei santi alla gloria di Dio, non renderemmo ferma la nostra elezione. E poi va sempre tenuto presente che le opere buone spingono il prossimo, che ce le vede compiere, a glorificare Iddio infatti Gesù disse: "Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, affinché veggano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è ne’ cieli" (Matt. 5:16); e quindi costituiscono una maniera per onorare Dio e la sua dottrina. Al contrario il rifiutare di compiere opere buone porta il nostro prossimo a biasimare il nome di Dio e la sua dottrina secondo che è scritto: "Per cagione vostra il nome di Dio è bestemmiato fra i Gentili" (Rom. 2:24).

Per concludere diciamo questo: la fede ha bisogno delle opere buone per essere compiuta, ma questo non significa che la fede non è sufficiente per essere giustificati perché la Scrittura afferma che "l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù" (Gal. 2:16). Lungi da noi perciò il metterci a fare come fecero i credenti della Galazia che dopo avere cominciato con lo Spirito volevano raggiungere la perfezione con la carne, dopo avere accettato Cristo vi avevano rinunciato perché volevano essere giustificati per la legge (cfr. Gal. 5:4), il che fece indignare e preoccupare Paolo che li ammonì severamente e disse loro che era di nuovo in doglie per loro finché Cristo fosse formato in loro (cfr. Gal. 4:19). Fratelli, badate a voi stessi, e tenete sempre presente che cercare di volere essere giustificati per le opere è un offesa nei confronti di Cristo perché si annulla la sua opera espiatoria. Siate zelanti nelle opere buone ma non pensate che esse possano aggiungere alcunché ai meriti di Cristo come purtroppo fanno i Cattolici romani.

Le parole di Giacomo non confermano la dottrina papista sulla giustificazione

Se Abramo fosse stato giustificato, ossia se al patriarca Dio avesse imputato la giustizia, mediante la fede e le opere che seguirono, egli avrebbe avuto di che gloriarsi davanti a Dio perché avrebbe potuto dire che la giustizia gli era stata imputata da Dio non solo per fede ma anche per le sue opere (e quindi non interamente per grazia ma anche per i suoi meriti personali), ma Abramo non poteva dire nulla di ciò perché Paolo dice che egli "credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia" (Rom. 4:3); quel "ciò" si riferisce esclusivamente al suo atto di fede e non all’atto di fede più delle opere. Abramo credette alla promessa che Dio gli aveva fatto, e cioè che Egli avrebbe reso la sua progenie simile alle stelle del cielo che non si possono contare, e in virtù di ciò fu giustificato in quell’istante in cui credette con il suo cuore in quelle parole di Dio. Non è forse scritto che "col cuore si crede per ottener la giustizia" (Rom. 10:10)? che c’è dunque di strano se Abramo per avere soltanto creduto col suo cuore in quella promessa di Dio fu da lui giustificato?

Ma c’è qualcos’altro da dire: Paolo ai Romani afferma che "la promessa d’esser erede del mondo non fu fatta ad Abramo o alla sua progenie in base alla legge, ma in base alla giustizia che vien dalla fede" (Rom. 4:13); questo significa che l’eredità fu da Dio data ad Abramo in base alla giustizia che viene dalla fede e non in base alla giustizia che viene dalle opere. In altre parole Abramo divenne erede del mondo per mezzo della fede e non per mezzo di opere giuste compiute. E questo perché egli credette alla promessa che Dio gli avrebbe dato così tanti figliuoli (l’eredità che viene da Dio) come le stelle del cielo. Se infatti egli non avesse creduto come avrebbe potuto vedere l’adempimento di quella promessa divina di diventare padre di una moltitudine? Non sta forse scritto che per fede i profeti "ottennero adempimento di promesse" (Ebr. 11:33)? Che dire allora a proposito della promessa che Dio fece ad Abrahamo dopo che vide che il patriarca non gli aveva rifiutato il suo unico figliuolo? Diremo che quando Abramo ubbidì a Dio e andò sul monte Moriah ad offrire il suo figliuolo Isacco, dopo che Dio lo fermò gli confermò quella promessa che anni prima gli aveva fatto, infatti gli giurò: "Siccome tu hai fatto questo e non m’hai rifiutato il tuo figliuolo, l’unico tuo, io certo ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo" (Gen. 22:16,17). Gliela confermò significa che Abramo già aveva la promessa di Dio, infatti essa gli fu fatta quando ancora Isacco non era neppure nato, e quindi non fu per meriti che egli divenne padre di molte nazioni, ma solo per la sua fede avuta da lui in Dio prima di essere circonciso e prima di offrire Isacco sul monte Moriah. Per questo Paolo dice ai Galati che "se l’eredità viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; ora ad Abramo Dio l’ha donata per via di promessa" (Gal. 3:18), ed ai Romani che "se quelli che son della legge sono eredi, la fede è resa vana, e la promessa è annullata" (Rom. 4:14), per attestare che come Abramo fu costituito erede del mondo per la sua fede, così anche noi siamo stati costituiti eredi del Regno di Dio per fede senza le opere; perché se l’eredità fosse per fede più le opere allora la promessa sarebbe annullata.

Adesso veniamo a delle conseguenze pratiche a cui porterebbero le parole di Giacomo se volessero dire quello che gli fanno dire i teologi papisti. Se è la fede più le opere che giustifica, e non solo la fede, occorrerebbe stabilire quante opere e di che genere ci vogliono dopo avere creduto per essere giustificati (Abramo offrì in sacrificio il suo figliuolo, Rahab praticò l’ospitalità verso degli stranieri, ma che dovrebbe fare l’uomo per ottenere questa giustificazione dopo avere creduto?), ed allora sorgerebbero le seguenti domande: Come si farebbe a stabilire la quantità di opere da compiere per conseguire questa giustificazione, quale criterio bisognerebbe adottare? Come potrebbe chi ha creduto essere sicuro di essere giustificato in qualsiasi momento della sua vita vivendo con il dubbio di non avere fatto forse abbastanza? Non è forse vero che un uomo non potrebbe mai essere sicuro di essere stato giustificato interamente da Dio se seguisse la teologia papista? Certo che sarebbe così; ma questo è proprio quello che vogliono i papi; tenere le persone continuamente nel dubbio della loro giustificazione per indurli a fare opere dopo opere. E così le anime rimangono schiave del papato.

Inoltre, se la giustificazione si ottenesse per fede più le opere, come potrebbe uno che si trova in fin di vita ottenerla? Essa gli sarebbe preclusa perché impossibilitato a compiere opere buone [8]. In sostanza, se un morente chiedesse che cosa deve fare per essere salvato perché vuole essere salvato, gli si dovrebbe dire che la fede solo non basta, ci vogliono anche le opere: non significherebbe questo farlo piombare nella più profonda disperazione invece che essergli di consolazione? E che notizia gli annunceremmo? Certamente non la Buona Notizia della pace.

Ed ancora, se oltre la fede ci vogliono le opere per essere dichiarati giusti da Dio ciò significa che nel momento in cui uno crede in Cristo non gli viene imputata tutta la giustizia di Dio che viene dalla fede come dice la Scrittura ma solo una parte perché rimarrebbe al credente il dovere di fare qualche cosa per assicurarsi la parte mancante di giustizia. Ma tutto questo non si concilia in nessuna maniera con questi passi della Scrittura: "Il termine della legge è Cristo, per esser giustizia ad ognuno che crede" (Rom. 10:4); "E a lui voi dovete d’essere in Cristo Gesù, il quale ci è stato fatto da Dio sapienza, e giustizia, e santificazione, e redenzione..." (1 Cor. 1:30). Quindi l’interpretazione che gli danno i Cattolici a quelle parole di Giacomo non può che essere falsa perché essa non attribuisce più interamente alla fede il potere di fare giustificare l’uomo, ma lo divide tra la fede e le opere.

Ma veniamo ora ai fatti per vedere se Giacomo ha voluto dire quello che dicono i Cattolici romani. I Cattolici dicono che la fede più le opere giustifica e che la fede solo non giustifica; di conseguenza essi dovrebbero essere sicuri di essere giustificati perché hanno la fede e le opere. Ma i fatti dimostrano che essi non sono per nulla sicuri di essere giustificati. Com’è possibile ciò? E’ possibile perché loro in realtà non hanno creduto col cuore per ottenere il dono della giustizia; se infatti avessero veramente creduto avrebbero ottenuto questo dono e non sarebbero più nel dubbio. Il fatto quindi che loro non ardiscono affermare di essere stati giustificati una volta per sempre, quantunque dicono di credere, perché stanno ancora compiendo le opere necessarie a conseguire la giustificazione, significa che essi non hanno creduto affatto. E che sia così, cioè che non hanno veramente creduto in Cristo Gesù, è confermato dal fatto che non sono sicuri di essere perdonati, di avere la vita eterna e così via. Non ha forse detto Pietro che chiunque crede in Gesù riceve la remissione dei peccati mediante il suo nome (cfr. Atti 10:43)? Come mai dunque essi che dicono di credere non hanno la certezza di avere tutti i loro peccati rimessi, ma devono del continuo andare dal prete e compiere opere di soddisfazione? Non disse forse Gesù che "chi crede ha vita eterna" (Giov. 6:48)? Come mai dunque essi dicono di credere ma non hanno la vita eterna?

Allora questo fatto di dire che oltre la fede ci vogliono le opere per essere giustificati non è altro che un abile sofisma per mascherare la propria incertezza ma anche il proprio orgoglio perché chi parla così ritiene che Cristo non ha fatto abbastanza per giustificarlo. Egli dimostra la propria insolenza perché in questa maniera fa passare Dio per uno che non può giustificare del tutto un uomo in virtù della sola sua fede, facendo così passare Dio per bugiardo. Ecco quello che avviene nella chiesa cattolica romana, si fa passare Dio per bugiardo. O uomini e donne abbiate piena fiducia nelle parole veraci di Dio anziché in quelle false dei vostri teologi ed otterrete all’istante la giustificazione. Credete che Cristo sulla croce morendo ha espiato tutti i vostri debiti e vi ha acquistato il dono della giustizia e che basta la fede per ottenere l’espiazione dei vostri debiti e ricevere il dono della sua giustizia; e vedrete come all’istante vi sentirete lavati con il sangue di Cristo e giustificati nel suo cospetto per la vostra fede, e quindi per grazia di Dio. Fatelo, prima che sia troppo tardi, non date retta ai sofismi papisti, il Signore è pronto a giustificarvi.

 

LA REMISSIONE DEI PECCATI

La dottrina dei teologi papisti

La remissione dei peccati si ottiene con la fede e le opere e nessuno può essere sicuro di possederla. Il concilio di Trento, il 13 Gennaio del 1547, decretò quanto segue: ‘Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici [9] e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà’ (Concilio di Trento, Sess. VI, cap. IX); ed anche: ‘Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema’ (Concilio di Trento, Sess. VI, can. 13). In altre parole per la chiesa cattolica romana la remissione dei peccati non è qualcosa che si può ottenere soltanto mediante la fede e di cui si può essere sicuri di possedere. Anche qui oltre la fede ci vogliono le opere buone che secondo loro hanno il potere di rimettere i peccati. E per confermare questo potere di rimettere (o espiare) i peccati che avrebbero le opere buone i teologi papisti citano due passi dai libri apocrifi; il primo è quello di Tobia che dice: ‘L’elemosina libera dalla morte e purifica da ogni peccato’ (Tobia 12:9), il secondo è quello dell’Ecclesiastico che dice: ‘L’acqua spegne il fuoco che divampa, così l’elemosina espia i peccati’ (Ecclesiastico o Siracide 3:29), e questo passo dal Vangelo scritto da Luca: "Le sono rimessi i suoi molti peccati, perché ha molto amato..." (Luca 7:47). Secondo loro Gesù rimise a quella donna i suoi peccati perché ella gli aveva rigato i piedi di lagrime, glieli aveva asciugati con i suoi capelli, glieli aveva baciati e unti di profumo; quindi egli le rimise i suoi peccati in base alle sue opere.

Confutazione

La remissione dei peccati si ottiene credendo in Gesù

La Scrittura dice in maniera inequivocabile: "In lui noi abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione de’ peccati, secondo le ricchezze della sua grazia" (Ef. 1:7); ed anche: "Figliuoletti, io vi scrivo perché i vostri peccati vi sono rimessi per il suo nome" (1 Giov. 2:12) ed ancora che "la sua potenza divina ci ha donate tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà mediante la conoscenza di Colui che ci ha chiamati mercé la propria gloria e virtù.." (2 Piet. 1:3). Noi dunque, per la misericordia di Dio, abbiamo il perdono dei nostri peccati, ne siamo certi senza ombra di dubbio; e perciò noi abbiamo la certezza che quando moriremo andremo ad abitare con il Signore Gesù nel cielo perché le nostre vesti sono state lavate ed imbiancate con il suo prezioso sangue. Ma in che maniera abbiamo ottenuto la remissione dei nostri peccati? A noi credenti sono stati rimessi tutti i nostri vecchi peccati mediante la sola fede in Cristo Gesù; sì, per avere soltanto creduto nel nome del Figliuolo di Dio. Non siamo affatto dei presuntuosi nel fare questa affermazione perché il Signore Gesù stesso ha attestato che la remissione dei peccati si ottiene credendo in lui quando disse a Saulo: "Ai quali (ai Gentili) io ti mando per aprir loro gli occhi, onde si convertano dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, la remissione dei peccati e la loro parte d’eredità fra i santificati" (Atti 26:18). Ed oltre a Gesù lo ha attestato in maniera inequivocabile anche l’apostolo Pietro quando disse a casa di Cornelio: "Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remission de’ peccati mediante il suo nome" (Atti 10:43).

Può l’uomo ricevere la remissione dei peccati mediante il battesimo per infusione della chiesa romana o andandosi a confessare dal prete o compiendo delle opere meritorie come invece dice la chiesa cattolica romana? Assolutamente no. L’uomo peccatore che é pieno di debiti nei confronti di Dio può ricevere la remissione di tutti i suoi debiti solamente credendo nel nome del Figliuol di Dio, e in nessun altra maniera; egli non potrà ricevere la remissione dei suoi peccati facendosi versare sul capo dell’acqua chiamata benedetta o andandosi a confessare dal prete o facendo qualche opera buona. Perché? Perché il battesimo per infusione della chiesa romana non rimette i peccati (come d’altronde neppure quello per immersione perché è mediante la fede che lo deve precedere che si ottiene la remissione dei peccati), il prete non ha il potere di rimettere i peccati perché non è Dio, e nelle opere buone non c’é il potere di purificare la coscienza dell’uomo dalle opere morte. Quindi tutti coloro che pensano di avere ricevuto la remissione dei loro peccati mediante il loro battesimo ricevuto da bambini (o da adulti) o perché si vanno a confessare dal prete o che cercano di guadagnarsi il perdono di Dio con le opere buone continuano ad essere dei peccatori davanti a Dio. Lo sappiano bene i Cattolici romani! Ma il perché il battesimo non rimette i peccati e perché la confessione non rimette i peccati lo vedremo molto meglio più avanti quando parleremo del battesimo e della confessione.

Passiamo ora alla confutazione del discorso che i teologi papisti, appoggiandosi ai suddetti passi presi dai libri apocrifi e dal Vangelo scritto da Luca, fanno a sostegno del potere espiatorio delle opere. In risposta ai passi apocrifi diciamo che la Scrittura insegna che non è affatto mediante delle opere di penitenza che la coscienza del credente viene purificata dai peccati ma per grazia, mediante la fede nel sangue di Cristo secondo che é scritto: "Se il sangue di becchi e di tori e la cenere d’una giovenca sparsa su quelli che son contaminati santificano in modo da dar la purità della carne, quanto più il sangue di Cristo che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro d’ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire all’Iddio vivente?" (Ebr. 9:13,14), ed ancora: "Il sangue di Gesù, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato" (1 Giov. 1:7). Queste parole dato che sono state scritte a dei credenti fanno capire che la remissione dei peccati commessi dopo avere creduto si ottiene mediante il sangue di Gesù Cristo (confessando i nostri falli a Dio) e non compiendo opere buone. La stessa cosa comunque si deve dire per la remissione dei peccati commessi prima di credere, e cioè che è soltanto per mezzo della fede nel sangue di Cristo che la si è ottenuta senza fare alcunché di buono. Pietro questo lo ha confermato quando parlando all’assemblea di Gerusalemme disse che Dio non fece alcuna differenza fra loro Giudei e i Gentili "purificando i cuori loro (dei Gentili) mediante la fede" (Atti 15:9). E ricordatevi che qui egli fece riferimento alla purificazione dei peccati ottenuta per fede anche da Cornelio che faceva molte elemosine al popolo; dal che si deduce che non furono le elemosine di Cornelio a purificare Cornelio dai suoi peccati ma la grazia di Dio mediante la sua fede nel sacrificio di Gesù. (Questo conferma che i due libri apocrifi da cui sono citati quei passi non sono ispirati da Dio perché vanno contro la dottrina del Signore). In risposta all’interpretazione data alle parole che Gesù, in casa di Simone, rivolse a quella donna che le aveva rigato i piedi con le sue lacrime e glieli aveva asciugati con i suoi capelli e baciati e unti di profumo diciamo questo: non neghiamo che le cose che quella donna fece nei confronti di Gesù furono una manifestazione d’amore verso Gesù, ma è bene tenere presente che le lagrime di quella donna erano lacrime di pentimento quindi ella si pentì dei suoi peccati; e poi che Gesù alla fine le disse: "La tua fede t’ha salvata; vattene in pace" (Luca 7:50). Perciò anche nel caso di quella donna si deve dire ch’ella ottenne la remissione dei peccati per avere creduto in Gesù; ossia mediante la sua sola fede senza le sue opere buone. Come avrebbero potuto quelle sue opere buone verso Gesù espiare tutti i suoi peccati? In nessuna maniera; perciò Gesù le disse che la sua fede l’aveva salvata, e non che le sue opere buone le avevano espiato i suoi peccati. Certamente se fossero state le sue opere buone a salvarla Gesù glielo avrebbe detto; ed anche se erano state la sua fede assieme alle sue opere a salvarla Gesù glielo avrebbe detto. Ma come potete vedere Gesù le disse che la sua fede l’aveva salvata.

Abbiamo quindi dimostrato che la chiesa cattolica romana insegna il falso a riguardo della remissione dei peccati. Perciò o Cattolici romani che vi basate sulle opere per ottenere la remissione dei vostri peccati vi dico: ‘Rigettate questa dottrina di demoni che vi insegnano i vostri teologi e accettate quella vera annunciata dall’apostolo Pietro in questi termini: "Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remission de’ peccati mediante il suo nome" (Atti 10:43). Fatelo, per il bene dell’anima vostra affinché essa scampi alle fiamme dell’inferno quando morirete.

 

LA VITA ETERNA

La dottrina dei teologi papisti

La vita eterna ce la si deve guadagnare. Quando si parla della salvezza anche con i Cattolici romani si parla molto della salvezza dall’inferno, ma su di essa - come ben sapete - non ci si trova per nulla d’accordo con loro. Noi infatti diciamo loro che per la grazia di Dio abbiamo (o possediamo) la vita eterna e che perciò quando moriremo andremo subito in paradiso con Gesù, mentre loro ci rispondono dicendo che non sono sicuri di andare in paradiso ma che stanno facendo del loro meglio per guadagnarselo [10]. E difatti essi si esprimono quasi sempre in questi termini: ‘La vita eterna ce la si deve guadagnare!’. Ma perché parlano in questa maniera? Semplice, perché i loro preti gli insegnano che il paradiso se lo devono guadagnare. Vediamo da vicino alcuni di questi insegnamenti che vengono loro rivolti: ‘Dio dà il Paradiso ai buoni (...) Coll’essere buoni noi, colle sole nostre forze naturali, non potremmo meritare il Paradiso; lo meritiamo colla grazia che Dio ci ha conferito nel Battesimo, per la quale le nostre buone opere acquistano merito pel Paradiso (....) Ognuno attende con tanti sacrifici e lavori a farsi un buon stato quaggiù, a guadagnare beni incerti, che poi si possono perdere da un giorno all’altro, che non possono mai rendere felice nessuno poiché non appagano il cuore, e che, in ogni modo, bisogna abbandonare presto per la morte. Pensate invece, prima di tutto, a guadagnarvi il Paradiso’ (Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 57-58); ‘Perciò in grazia della speranza noi aspettiamo dal Signore la vita eterna e tutte le grazie necessarie per meritarla quaggiù; ma per meritarla in qual modo? Con le buone opere’ (ibid., pag. 381); ‘Speriamo di salvarci perché Dio ci vuole salvi, e noi vogliamo, da parte nostra, fare ciò che é necessario per salvarci, e cioè, come diciamo nell’atto di speranza, speriamo da Dio ‘la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare’ (ibid., pag. 245); ‘Le opere buone sono assolutamente necessarie per conseguire la salute eterna; in altre parole, non basta la fede, non basta credere per salvarsi’ (ibid., pag. 381); ‘Ma non bastano a salvarci i meriti infiniti di Gesù Cristo? Non bastano, non perché essi non abbiano valore sufficiente, ma perché Gesù Cristo stesso ha voluto il concorso e la cooperazione delle nostre opere buone, perché per applicarcene il merito, vuole che noi sentiamo e vogliamo in unione a Lui, perché ha voluto che noi praticassimo il Vangelo e vivessimo la vita cristiana’ (ibid., pag. 383). Questi insegnamenti sono in pieno accordo con il seguente decreto del concilio di Trento: ‘Perciò a quelli che operano bene fino alla fine e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio, per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti’ (Concilio di Trento, Sess. VI, cap. XVI). A proposito del valore del merito delle opere buone i teologi papisti fanno una distinzione tra azione meritoria di premio per convenienza, cioè de congruo; e azione meritoria per giustizia, cioè de condigno. Facciamo un esempio per spiegare questa loro particolare distinzione; un uomo salva da morte certa un suo consimile, in questo caso egli è meritorio di una medaglia, cioè di un premio, de congruo; un operaio lavora presso qualcuno per un mese e alla fine del mese va a riscuotere il salario, in questo caso egli riceve la mercede per giustizia, cioè de condigno. Con questo discorso essi vogliono fare capire come la vita eterna è dovuta da Dio per giustizia, cioè de condigno a colui che fa opere buone. Perciò, per loro, le preghiere, le elemosine, i digiuni, sono meritevoli, mediante la grazia, della vita eterna. Il cardinale Bellarmino affermò per esempio: ‘Con le divine Scritture si prova, che le opere dei giusti son meritorie della vita eterna... Il primo argomento adunque si ricava da quei luoghi, ove la vita eterna è detta mercede; poiché, se è mercede, le opere buone, a cui essa si dà, certo sono meriti. Le opere buone dei giusti son meritorie ex condigno, non solo in ragione del patto, ma anche in ragione delle opere... Poiché Iddio rimunera le opere buone per mera liberalità ex condigno, ciò affermano tutti i teologi, come si rileva da S. Tommaso, S. Bonaventura, Scoto, Durando ed altri, in 4 sent. dist. 46’ (Bellarmino, De Justif., lib. V, cap. 3, 17 e 18).

Confutazione

La vita eterna é il dono di Dio che si ottiene credendo in Gesù

Questa dottrina cattolica romana che attribuisce alle opere il potere di fare meritare la vita eterna agli uomini e di salvare gli uomini dall’inferno è una dottrina di demoni che fino adesso ha menato all’inferno centinaia di milioni di persone; sì, ci sono centinaia di milioni di persone a soffrire nelle fiamme dell’inferno proprio perché in vita si erano appoggiati su questa dottrina sulla salvezza insegnatagli dai loro preti. Ora la confuteremo.

Secondo quello che dice la Scrittura, la vita eterna non é la mercede che Dio dona all’uomo che si sforza di guadagnarsela, ma essa é il dono che Dio dona all’uomo che si ravvede dei suoi peccati e crede nel nome del Figliuol di Dio. Paolo dice infatti: "Il dono di Dio é la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rom. 6:23), quindi la vita eterna, essendo il dono di Dio, l’uomo non la può né meritare e neppure guadagnare operando il bene, altrimenti il dono non é più dono. Di conseguenza va rigettato in blocco il loro discorso sul merito de condigno! E poi, se Dio desse la vita eterna come mercede a coloro che operano, ciò significherebbe che Egli è debitore verso di essi perché Paolo dice che "a chi opera, la mercede non è messa in conto di grazia, ma di debito" (Rom. 4:4); e questo non può essere perché lo stesso apostolo dice anche: "Chi gli ha dato per il primo, e gli sarà contraccambiato?" (Rom. 11:35). E poi ancora, se le opere buone sono meritorie di vita eterna, allora perché mai il Figlio di Dio sarebbe venuto a soffrire in questo mondo? Poteva rimanere presso Dio Padre senza venire in questo mondo! Ma egli venne proprio per questo, per acquistarci con il suo sangue la vita eterna e fare sì che tutti gli uomini, Giudei e Gentili, potessero riceverla per grazia mediante la fede in Lui. Egli sapeva che gli uomini non possono meritarsi la vita eterna perché tutti sono sotto la condanna e meritano la punizione eterna, e perciò venne a morire per noi affinché per i suoi meriti, e ripeto per i suoi meriti, noi potessimo ottenere gratuitamente la vita eterna da Dio. E ancora, ma come si può affermare che le opere buone sono meritorie di vita eterna quando messe tutte assieme non possono in niuno modo raggiungere il valore che ha la vita eterna? Come si può fare tale affermazione quando Gesù ha detto ai suoi discepoli: "Quand’avrete fatto tutto ciò che v’è comandato, dite: Noi siamo servi inutili; abbiam fatto quel ch’eravamo in obbligo di fare" (Luca 17:10) [11]? Bisogna essere veramente arroganti per affermare che Dio debba dare la vita eterna per giustizia a coloro che fanno opere meritorie! Per queste ragioni va rigettata la dottrina che afferma che la vita eterna viene data da Dio come mercede.

Ho detto innanzi che la vita eterna si ottiene mediante la sola fede, e questo é confermato dalle seguenti Scritture.

• Gesù disse: "Chi crede ha vita eterna" (Giov. 6:48), e: "Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figliuolo e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Giov. 6:40), ed ancora: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figliuol dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Poiché Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giov. 3:14-16). Vediamo quale fu la ragione per cui Mosè innalzò il serpente di rame nel deserto. Quando gli Israeliti nel deserto mormorarono contro Dio e contro Mosè "l’Eterno mandò fra il popolo de’ serpenti ardenti i quali mordevano la gente, e gran numero d’Israeliti morirono. Allora il popolo venne a Mosè e disse: ‘Abbiamo peccato, perché abbiam parlato contro l’Eterno e contro te; prega l’Eterno che allontani da noi questi serpenti’. E Mosè pregò per il popolo. E l’Eterno disse a Mosè: ‘Fatti un serpente ardente, e mettilo sopra un’antenna; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, scamperà’. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra un’antenna; e avveniva che, quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, scampava" (Num. 21:6-9). Ora, Gesù ha paragonato il suo innalzamento a quello del serpente di rame fatto nel deserto, ed il paragone è veramente appropriato perché come gl’Israeliti morsi dai serpenti per scampare alla morte dovevano solo guardare al serpente di rame innalzato da Mosè (notate infatti che quelli che venivano morsicati, per non morire, dovevano solo guardare il serpente di rame e non compiere qualche rito o qualche opera buona scritta nella legge), così gli uomini morti nei loro falli per essere vivificati ed ottenere la vita eterna da Dio devono solamente contemplare il Figliuolo di Dio e credere in lui. In lui che prima fu appeso al legno della croce e poi dopo essere risuscitato dai morti fu assunto alla destra di Dio. Sì, è proprio così che si ottiene la vita eterna da Dio, (soltanto) credendo in Cristo Gesù; e non compiendo opere buone o sforzandosi di essere buoni come invece proclamano i teologi papisti morti nei loro falli che parlano in questa maniera perché loro stessi ancora non hanno contemplato il Figliuolo e non hanno creduto in lui. Sono come i Farisei al tempo di Gesù i quali investigavano le Scritture che rendevano testimonianza di Gesù perché pensavano di avere la vita eterna per mezzo di esse ma non volevano andare a Lui per ottenere la vita.

• Giovanni il Battista disse: "Chi crede nel Figliuolo ha vita eterna" (Giov. 3:36).

• Paolo disse a Timoteo: "Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me per il primo tutta la sua longanimità, e io servissi d’esempio a quelli che per l’avvenire crederebbero in lui per aver la vita eterna" (1 Tim. 1:16).

Ora, noi che abbiamo creduto nel Signore abbiamo, per la grazia di Dio, la vita eterna perché Giovanni disse: "Io v’ho scritto queste cose affinché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figliuol di Dio" (1 Giov. 5:13). Egli non disse: ‘Affinché speriate di ottenere la vita eterna voi che credete nel nome del Figliuol di Dio’, come se noi credenti non possedessimo di già la vita eterna in noi stessi, ma disse di averci scritto quelle cose per farci sapere che noi abbiamo di già la vita eterna. Lo stesso apostolo dice anche: "Chi crede nel Figliuol di Dio ha quella testimonianza in sé... E la testimonianza è questa: Iddio ci ha data la vita eterna, e questa vita è nel suo Figliuolo. Chi ha il Figliuolo ha la vita; chi non ha il Figliuolo di Dio, non ha la vita" (1 Giov. 5:10,11,12). Queste parole confermano pienamente che noi che crediamo abbiamo la vita eterna; come facciamo a dirlo con certezza di fede? A cagione della testimonianza che lo Spirito Santo ci rende all’interno. Lo Spirito è verità e perciò non può mentire; noi crediamo in ciò che lo Spirito ci attesta in noi, che conferma pienamente quello che dice la Scrittura. E poi, riflettendo ulteriormente sulle parole di Giovanni, come possono i Cattolici romani affermare che un credente che ha ricevuto Cristo nel suo cuore non può dire con certezza di fede di avere la vita eterna, quando Gesù Cristo è "la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata" (1 Giov. 1:2) e "chi ha il Figliuolo ha la vita" (1 Giov. 5:12)? Quando parlano così è come se dicessero che un cittadino italiano non può dire di avere la cittadinanza italiana perché questo è orgoglio! Per loro: ‘Presumere di salvarsi senza merito è superbia che offende la giustizia di Dio e, quasi, se ne burla, come se Egli ci debba il Paradiso, o ci debba premiare del bene che non abbiamo voluto fare’ (Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 245). Così dicendo essi ci accusano di essere dei presuntuosi perché noi diciamo di essere stati salvati per la grazia di Dio, ma sappiate che i presuntuosi non siamo noi che diciamo loro che siamo certi di avere la vita eterna per la grazia di Dio perché abbiamo creduto e crediamo, ma sono loro che dicono che si viene salvati nel regno celeste compiendo opere buone. Quindi, per concludere: l’accusa di essere dei presuntuosi e degli orgogliosi che ci viene mossa dai Cattolici romani perché diciamo che abbiamo la vita eterna, non é altro che una calunnia. Ma d’altronde é inevitabile che coloro che cercano di guadagnarsi la vita eterna con le loro opere vedano di malocchio quelli che dicono che l’hanno ottenuta credendo, gratuitamente, senza fare alcuna opera buona.

Il cristiano è certo che quando morirà andrà in paradiso con Gesù

Noi credenti siccome che per la grazia di Dio abbiamo la vita eterna dimorante in noi, siamo certi che quando moriremo, a condizione naturalmente che conserviamo la fede sino a quel giorno, andremo in cielo ad abitare con Gesù perché Gesù ha detto: "Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai" (Giov. 11:25,26), ed anche: "Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io, quivi sarà anche il mio servitore" (Giov. 12:26). E "siccome abbiam lo stesso spirito di fede, ch’è in quella parola della Scrittura: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo, e perciò anche parliamo" (2 Cor. 4:13), dicendo come gli apostoli: "Siamo pieni di fiducia e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e d’abitare col Signore" (2 Cor. 5:8). Sì, abbiamo a tale riguardo in noi lo stesso sentimento che era in Paolo il quale aveva il desiderio di partire e d’essere con Cristo, e questo perché essere con Cristo in cielo è cosa di gran lunga migliore del rimanere sulla terra. Tutto ciò per i teologi papisti è sfacciata presunzione; perché secondo loro, prima di andare in paradiso tutti coloro che muoiono nella grazia devono andare in purgatorio ad espiare la pena dei loro peccati! E guai a chi non accetta questa loro dottrina perché il concilio di Trento ha detto: ‘Se qualcuno afferma che, dopo avere ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli; sia anatema’ (Concilio di Trento, Sess. VI, can. 30). Ma non è affatto così come dicono loro, perché la Scrittura insegna che quando Dio rimette i peccati ad un uomo gli rimette di conseguenza anche la pena eterna. L’esempio del ladrone pentitosi sulla croce in punto di morte ne è un esempio, perché Gesù gli rimise tutti i suoi peccati con i relativi debiti di pena eterna infatti gli disse: "Io ti dico in verità che oggi tu sarai meco in paradiso" (Luca 23:43). Gesù non gli disse che prima doveva andare a sostare nel purgatorio qualche tempo per purgarsi di una parte della pena eterna dei suoi peccati e poi sarebbe potuto andare in paradiso, ma gli disse che in quello stesso giorno lui sarebbe andato in paradiso! Riflettete; ma non è assurdo credere che Dio rimetta tutti i debiti all’uomo che si pente e poi, quando muore, lo manda in un luogo di tormenti come il purgatorio ad espiare parte di essi prima di farlo entrare nel regno dei cieli? Eppure questo è quello che credono i Cattolici romani! Con tutto ciò non vogliamo dire che noi credenti siamo giunti alla perfezione o che siamo senza peccato; lungi da noi questo, perché noi riconosciamo di essere delle persone con dei difetti che abbiamo bisogno di essere perfezionati e di perfezionarci, e che talvolta facciamo quello che odiamo e abbiamo bisogno perciò di confessare i nostri falli al Signore per ottenerne la remissione. Ma vogliamo dire solamente che in virtù della misericordia di Dio per la quale Egli ci ha fatti rinascere e diventare figli di Dio e ci ha dato la vita eterna, siamo sicuri di essere stati perdonati appieno dal Signore, di avere ricevuto il purgamento di tutti i nostri peccati e perciò se moriamo con Gesù con lui andremo a vivere in cielo subito dopo essere morti. La chiamino pure presunzione questa nostra fiducia i teologi papisti; continuino a lanciare i loro anatemi i concili contro chi, secondo loro, ostenterà questa certezza di remissione di peccati e di vita eterna; noi continueremo a gloriarci nel Signore per avere ottenuto il purgamento dei nostri peccati con il sangue di Gesù, continueremo a glorificare il suo nome per questo, e continueremo a predicare agli uomini che in Cristo c’è la certezza di remissione dei peccati, che in lui c’è la certezza di avere la vita eterna; ma nella teologia papista c’è ambiguità, falsità, incertezza; cose che generano nelle persone che l’accettano nient’altro che dubbi, angosce e incertezze. O uomini e donne che giacete nella paura della morte e non sapete dove state andando (o meglio sapete che andrete in un purgatorio che però non esiste) perché avete dato retta ai falsi insegnamenti dei preti, vi supplichiamo nel nome di Cristo a pentirvi e a credere in Cristo per ottenere la remissione dei peccati e la vita eterna!

Concludendo; sia la salvezza dal peccato, sia la giustificazione, sia la remissione dei peccati e sia la vita eterna si ottengono soltanto mediante la fede, quindi senza il concorso di nessuna opera buona; la santificazione invece, che noi abbiamo per frutto (ossia quella progressiva), si ottiene osservando i comandamenti di Dio ossia mediante le opere buone. In altre parole, le opere buone sono i frutti che scaturiscono dalla nostra salvezza e dalla nostra giustificazione ottenute per fede, ma non sono la fonte della salvezza e della nostra giustificazione e non possono concorrere in nessuna maniera a salvare e a giustificare l’uomo, perché "il giusto vivrà per la sua fede" (Hab. 2:4) e non a cagione di opere meritorie.

Il cristiano è certo che sarà salvato dall’ira a venire

I Cattolici affermano: ‘Speriamo di salvarci’, volendo dire con queste parole: ‘Non siamo sicuri che saremo salvati perché nessuno può esserlo, ma non fa niente, perché forse Dio che è così misericordioso avrà pietà di noi e ci salverà’. Queste loro parole stanno a dimostrare che essi non sono certi che saranno salvati dall’ira a venire, come noi non siamo certi del tempo che farà domani perché diciamo: ‘Speriamo che il cielo sia sereno’, o: ‘Speriamo che piova’, e così via. Ma questo modo di parlare riguardo alla salvezza è caratteristico di tutti coloro che ancora non sono passati dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce; per questo non ce ne meravigliamo.

La sacra Scrittura ci insegna che il credente è stato strappato dalla potestà delle tenebre e trasportato nel regno di Dio ed è certo che sarà salvato dall’ira a venire; ecco alcune Scritture che attestano ciò.

• "Ma Iddio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, sarem per mezzo di lui salvati dall’ira. Perché, se mentre eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del suo Figliuolo, tanto più ora, essendo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita" (Rom. 5:8-10);

• "Poiché Iddio non ci ha destinati ad ira, ma ad ottener salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo" (1 Tess. 5:9);

• "Vi siete convertiti dagl’idoli a Dio per servire all’Iddio vivente e vero, e per aspettare dai cieli il suo Figliuolo, il quale Egli ha risuscitato dai morti; cioè, Gesù che ci libera dall’ira a venire" (1 Tess. 1:9,10).

Quindi, non è presunzione affermare che noi saremo salvati dall’ira a venire. Ma come può essere definita presuntuosa una persona che ha fede in Dio quando è scritto che "la fede è certezza di cose che si sperano" (Ebr. 11:1)? Ma vi sono anche degli esempi nella Scrittura che ci insegnano come il credente è certo di scampare all’ira di Dio; essi sono quelli di Noè, di Lot e del popolo d’Israele.

Noè per esempio quando entrò dentro l’arca e il Signore lo chiuse dentro era certo di scampare al giudizio che Dio avrebbe mandato di lì a poco sul mondo degli empi e questo perché Dio gli aveva detto: "Tutto quello ch’è sopra la terra, morrà. Ma io stabilirò il mio patto con te; e tu entrerai nell’arca: tu e i tuoi figliuoli, la tua moglie e le mogli de’ tuoi figliuoli con te. E di tutto ciò che vive, d’ogni carne, fanne entrare nell’arca due d’ogni specie, per conservarli in vita con te" (Gen. 6:17-19).

Anche Lot, dopo che Dio lo trasse fuori da Sodoma, era certo che rifugiandosi nella città di Tsoar non sarebbe perito nel castigo di Sodoma e questo perché quando lui disse ad uno degli angeli di Dio: "Ecco, questa città è vicina da potermici rifugiare, ed è piccola. Deh, lascia ch’io scampi quivi - non è essa piccola? - e vivrà l’anima mia!" (Gen. 19:20), quegli gli rispose: "Ecco, anche questa grazia io ti concedo: di non distruggere la città, della quale hai parlato. Affrèttati, scampa colà, poiché io non posso far nulla finché tu vi sia giunto" (Gen. 19:21,22).

E veniamo agl’Israeliti in Egitto: non è forse vero che essi erano certi che in quella notte il distruttore non sarebbe entrato nelle loro case? Ma perché ne erano certi? Perché Dio aveva detto loro: "L’Eterno passerà per colpire gli Egiziani; e quando vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti, l’Eterno passerà oltre la porta, e non permetterà al distruttore d’entrare nelle vostre case per colpirvi" (Es. 12:23). Loro credettero nelle parole di Dio, fecero lo spruzzamento del sangue come Dio aveva ordinato loro, e perciò erano sicuri che quando l’angelo dell’Eterno in quella notte avrebbe visto quel sangue sarebbe passato oltre le loro case. Pure noi che siamo stati cosparsi con il sangue di Gesù Cristo siamo sicuri che il Signore ci salverà dall’ira a venire; lui ce l’ha promesso e noi crediamo fermamente nelle sue parole. Possiamo dire sin da ora che per fede noi non periremo coi figliuoli di disubbidienza.

A Dio, nostro Salvatore e Benefattore, sia la gloria ora e in eterno in Cristo Gesù. Amen.

 

CONCLUSIONE

Ecco dunque dimostrato con le Scritture che l’affrancamento dal peccato, la giustificazione, la remissione dei peccati e la vita eterna si ricevono da Dio per mezzo della sola fede nel Cristo di Dio, morto e risorto il terzo giorno. E’ quindi falso che il battesimo, sia che esso venga ministrato a dei neonati o a degli adulti, conferisce l’affrancamento dal peccato, la giustificazione, la remissione dei peccati e la vita eterna; e questo perché per quanto riguarda il neonato egli non ha ancora la fede, mentre l’adulto che veramente ha creduto nel Signore ancora prima di ricevere il battesimo è stato liberato dal peccato, giustificato, perdonato ed ha ricevuto la vita eterna, e questo appunto perché egli ha già la fede, egli ha creduto che Gesù Cristo è morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Per quanto riguarda poi il dopo battesimo, siccome si possiede la fede, si è certi di essere salvati dal peccato, giustificati e perdonati e di avere la vita eterna. Nessun dubbio a riguardo; lo Spirito Santo nel cuore del credente gli attesta in maniera chiara ed inequivocabile ch’egli è un figlio di Dio lavato nel sangue dell’Agnello e perciò erede del Regno di Dio con tutti gli altri riscattati. Che dire allora dei peccati commessi dopo il battesimo? Essi devono essere confessati a Dio che nella sua fedeltà e giustizia ce li rimetterà; egli ci purificherà da essi con il sangue del suo Figliuolo. Nessun mediatore terreno è necessario per ottenerne la remissione, perché ne abbiamo uno in cielo che ci difende nel cospetto di Dio; il suo nome è Gesù Cristo, egli è il nostro avvocato, ed in virtù della sua intercessione noi sappiamo di avere i nostri peccati perdonati appieno. In virtù di questa sua opera intercessoria noi credenti continuiamo ad avere mediante la fede la certezza della salvezza. Ma oltre a non esserci affatto il bisogno di un uomo come il prete che pretende in nome di Dio di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo, non c’è neppure il bisogno delle opere di soddisfazione per ottenere l’espiazione dei peccati commessi dopo il battesimo perché il prezzo per la loro remissione è stato già pagato appieno da Cristo sulla croce. Le opere buone non aggiungono nulla all’opera di Cristo; le opere buone non possono meritarci il perdono dei peccati; esse vanno sì praticate in ogni tempo, ma per esse non si può pensare di pagare a Dio parte del prezzo dovuto per i nostri falli perché questo costituirebbe un offesa nei confronti di Cristo. Anche il perdono dei peccati dopo il battesimo è totalmente gratuito. Occorre chiederlo con pentimento e per certo esso non ci verrà rifiutato da Colui che non ha risparmiato il suo proprio Figliuolo ma l’ha dato per tutti noi mentre eravamo ancora dei peccatori, senza forza, lontani da Dio e suoi nemici. E’ sempre quindi mediante la fede che si continua ad essere perdonati appieno dal Signore. Stando così le cose, il credente è sicuro che quando morirà il Signore lo riceverà in gloria; non dovrà passare per nessun purgatorio. Se Cristo alla sua destra intercede per noi per quale motivo dovremmo andare in un purgatorio? Se Lui ci purifica da ogni peccato in virtù della fede che noi continuiamo a rimettere nel suo sangue prezioso, perché mai ci dovrebbe mandare dopo morti a penare in un luogo di tormento? No, Lui è fedele e i suoi angeli ci scorteranno nella casa del Padre suo quando moriremo perché il suo sangue è su di noi. La dottrina di Dio riguardo alla salvezza è chiara, ed è di grande consolazione per coloro che hanno creduto nel Signore; ma avete notato quanto oscura sia quella papista e come non è di nessun conforto per coloro che l’accettano perché li continua a mantenere nel dubbio, nell’incertezza più grande? E perché questo? Perché la salvezza ‘papista’ si fonda su dell’acqua cosiddetta benedetta che viene detto ha il potere di cancellare ogni peccato, anziché sul sangue prezioso di Cristo; e sulle opere di soddisfazione che l’uomo deve compiere anziché sull’opera di soddisfazione perfetta e fatta una volta per sempre da Gesù Cristo per la remissione dei nostri peccati, in altre parole sui meriti dell’uomo anziché su quelli di Cristo Gesù, il Figlio di Dio. Papi, cardinali, vescovi, preti e semplici Cattolici, parlano sempre di opere da compiere come se la salvezza fosse da meritare; ma mai gli si sente dire che l’opera di Cristo compiuta sulla croce è perfetta di nulla mancante e che chi crede in lui viene appieno salvato. Si basano sui loro meriti anziché su quelli di Cristo; per questo il Vangelo è loro velato, per questo non hanno la certezza della salvezza. Che fare dunque nei loro confronti? Scongiurarli nel nome del Signore a pentirsi e a credere in Gesù Cristo, a rinunciare alla loro giustizia che è un panno lordato davanti a Dio, per ricevere quella di Dio basata sulla fede che è una veste bianca, più bianca che neve davanti a Dio. Loro ci diranno: ‘Ma perché non andate a predicare ai pagani che si trovano nella giungla o in altre parti remote della terra? Noi siamo già dei Cristiani, non abbiamo bisogno della vostra evangelizzazione’. No, non è così, perché il loro non è cristianesimo ma paganesimo camuffato da cristianesimo; e loro non sono dei Cristiani, ma dei pagani che non conoscono Dio. Avanti quindi coll’evangelizzare i Cattolici romani; strappiamoli dal fuoco.

 

 

NOTE

 

[1] Per comprendere bene la dottrina papista sulla salvezza è indispensabile conoscere ciò che i teologi dicono sul battesimo e sulla confessione. Per questo vi invito a leggere attentamente l’esposizione dettagliata di questi loro due sacramenti. E’ una dottrina piuttosto complicata, di questo me ne rendo perfettamente conto fratelli, ma una volta capito il meccanismo, diventa più facile individuare gli errori papisti e confutarli. [ç]

 

[2] L’affrancamento dal peccato (che costituisce anche la liberazione dal presente secolo malvagio che giace nel maligno), la giustificazione, la remissione dei peccati e l’ottenimento della vita eterna (che implicitamente significa l’essere salvati dall’inferno) sono tutte cose strettamente connesse, perché secondo la Scrittura l’uomo viene affrancato dal peccato, giustificato, perdonato, ed ottiene la vita eterna (scampando alle fiamme dell’inferno perché l’ira di Dio viene rimossa da sopra lui) quando si ravvede e crede nel Signore. In effetti si può dire che queste cose sono tutti degli aspetti della salvezza di Dio che è in Cristo Gesù. Ecco perché quando diciamo che siamo stati salvati, diciamo nello stesso tempo più cose, e cioè che siamo stati liberati dal dominio del peccato e dal presente secolo malvagio, siamo stati giustificati, abbiamo ottenuto la remissione dei peccati, abbiamo ottenuto la vita eterna e siamo perciò sicuri di scampare alle fiamme dell’Ades quando moriremo. Io ho ritenuto trattare questi aspetti della salvezza separatamente per rendere più chiara possibile sia l’esposizione della dottrina cattolica romana che l’esposizione della dottrina di Dio. E dato che ho parlato della salvezza, non si dimentichi che un altro suo aspetto è la redenzione del nostro corpo che deve ancora compiersi secondo che dice Paolo ai Romani: "Anche noi stessi gemiamo in noi medesimi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo" (Rom. 8:23). E questo perché, come dice Paolo subito dopo, "noi siamo stati salvati in isperanza" (Rom. 8:24). Questa redenzione corporale si compirà alla risurrezione che avrà luogo alla venuta di Cristo. Quindi quando diciamo che siamo stati salvati intendiamo dire anche che, dato che facciamo parte del numero degli eletti chiamati al regno e alla gloria, in quel giorno il nostro corpo sarà redento dalla corruzione, dalla debolezza, e dalla mortalità perché sarà reso simile al corpo della gloria di Gesù Cristo (cfr. Fil. 3:21); saremo in altre parole resi partecipi della gloria ottenuta da Cristo alla sua risurrezione. Gloria a Dio in eterno. Amen. [ç]

 

[3] Si dovrebbe quindi arrivare alla conclusione che con il battesimo, la confessione, credendo e compiendo atti di pietà come dicono loro, uno può essere certo della sua salvezza: ma il fatto è che dopo avere seguito scrupolosamente tutte le loro prescrizioni il penitente continua inevitabilmente a dichiarare di non avere la certezza della salvezza. Anzi è costretto a dichiarare di non avere questa certezza per non essere colpito dall’anatema lanciato contro coloro che oseranno dire una tale cosa. Ci dev’essere quindi per forza di cose qualcosa che non va in questo sistema. Può essere mai che Gesù sia venuto per lasciare le persone che credono in lui nell’incertezza della loro salvezza? [ç]

 

[4] Quando si viene liberati dalla schiavitù del peccato si viene anche riscattati dal presente secolo malvagio e dalle mani di colui che domina questo mondo cioè il diavolo, per cui quando parlo dell’affrancamento dal peccato mi riferisco implicitamente anche al riscatto dal mondo e dalla potestà di Satana. Secondo la Parola di Dio infatti la liberazione dal dominio del peccato coincide con la liberazione dal presente secolo e dalla potestà di Satana. Paolo per esempio dice ai Galati che Cristo "ha dato se stesso per i nostri peccati affin di strapparci al presente secolo malvagio" (Gal. 1:4) e a Tito dice che Cristo ha dato se stesso per noi "affin di riscattarci da ogni iniquità.." (Tito 2:14) e ai Colossesi che "Egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figliuolo" (Col. 1:13). [ç]

 

[5] Ricordiamo che il concilio di Trento (1545-1563) fu la risposta della chiesa cattolica romana ai riformatori che predicavano la giustificazione per la sola fede. [ç]

 

[6] Va detto che i teologi papisti per cercare di difendersi dall’accusa di insegnare la giustificazione per opere condannata da Paolo affermano che le opere di cui loro parlano non sono quelle antecedenti alla fede ma quelle che seguono la fede di cui parla Giacomo. In sostanza essi dicono che quando Paolo dice che non si viene giustificati per le opere si riferisce alle opere della legge antecedenti alla fede in Cristo (cioè che non hanno per principio e radice la fede di Gesù Cristo), mentre quando Giacomo parla della giustificazione per le opere si riferisce alle opere che seguono la giustificazione cioè quelle che hanno la loro radice nella fede in Gesù. Ma questo discorso non regge perché, anche se ammettessimo che i Cattolici hanno creduto e che perciò le opere che fanno seguono la loro fede, si dovrebbe dire sempre che essi cercano di essere giustificati tramite di esse in base alla loro teologia. E perciò in questo caso sarebbero incorsi nello stesso errore dei Galati che dopo avere cominciato per lo Spirito volevano raggiungere la perfezione con la carne cioè con le opere buone, ed avevano rinunziato così a Cristo scadendo dalla grazia. L’apostolo Paolo fu chiaro nei loro confronti: "Voi che volete esser giustificati per la legge, avete rinunziato a Cristo; siete scaduti dalla grazia". (Gal. 5:4) Quindi alla luce delle Scritture è un errore sia il cercare di essere giustificati mediante le opere della legge senza credere nell’Evangelo (come fanno i Giudei per esempio), e sia il cercare di essere giustificati per le medesime opere dopo avere creduto nell’Evangelo perché in questa maniera si rinunzia a Cristo e si scade dalla grazia. Quindi quei Cattolici che dicono di avere creduto (il che noi sappiamo però che non è così) e di compiere le opere buone per essere giustificati dovrebbero essere ripresi come i Galati in questa maniera: ‘Avete rinunziato a Cristo che è stato fatto nostra giustizia, siete scaduti dalla grazia: chi vi ha ammaliati o Cattolici insensati?’ Attenzione dunque ai sofismi dei teologi papisti! [ç]

 

[7] Ricordatevi che coloro a cui scrisse Giacomo erano credenti che uccidevano, invidiavano, contendevano, che erano diventati nemici di Dio perché avevano voluto diventare amici del mondo, credenti ricchi materialmente che calpestavano il diritto dei loro operai, credenti che avevano riguardo alla persona del ricco e disprezzavano il povero, e che mormoravano gli uni contro gli altri; quindi è perfettamente comprensibile il duro discorso di Giacomo. [ç]

 

[8] Va detto però che i teologi papisti, per accontentare un po’ tutti, con gli ennesimi sofismi accordano la giustificazione pure al morente senza battesimo e senza penitenza! Come? Con il battesimo di desiderio o quello di sangue, e l’olio santo (tutte cose che analizzeremo più avanti). [ç]

 

[9] Il termine deriva dal greco hairetikos che significa ‘scismatico’ o ‘settario’ e designa chi decide di separarsi dalla Chiesa per andare dietro a strane e diverse dottrine. Il termine ha dunque un significato negativo. Nel Nuovo Testamento questo termine è presente nel seguente versetto: "L’uomo settario (hairetikos), dopo una prima e una seconda ammonizione, schivalo, sapendo che un tal uomo è pervertito e pecca condannandosi da sé" (Tito 3:10,11). Diodati ha tradotto mettendo "L’uomo eretico..." e così anche i traduttori della King James Version (Versione di Re Giacomo) del 1611: "A man that is a heretic...". I Protestanti furono sin dall’inizio definiti eretici. [ç]

 

[10] Va detto però che i Cattolici romani quantunque dicano che stanno guadagnandosi il paradiso, alla fine devono andare sempre nel purgatorio (che è un luogo di tormento per loro) perché per loro in cielo ci vanno subito solo i santi, cioè coloro che sono puri da ogni macchia, e loro dato che non lo sono, perché dicono di essere dei poveri peccatori, devono prima andarsi a purgare dalle loro colpe in purgatorio per potere poi accedere puri da ogni scoria in paradiso. [ç]

 

[11] Queste parole di Gesù annullano la dottrina sul merito de condigno propugnata dalla chiesa papista perché mettono in chiaro come le opere buone non possono fare meritare la vita eterna al credente. Ma ragionate: perché mai dopo avere ricevuto il dono della vita eterna nel momento in cui crede, il credente se la dovrebbe meritare nel corso della vita facendo opere buone? Se è chiamata il dono di Dio non è un controsenso affermare che dopo averlo ricevuto si deve meritare? Non è piuttosto il caso di dire che una volta ricevuto questo dono è necessario conservarlo per non perderlo? Non ha forse detto Paolo a Timoteo: "Afferra la vita eterna" (1 Tim. 6:12) e non ‘guadagnati la vita eterna con i tuoi meriti’? In effetti cercare di meritarsela significherebbe cercare di pagare a Dio il prezzo del suo acquisto pagato da Cristo Gesù il che costituisce un offesa a Cristo! Sarebbe come dire: Vediamo di pagare a Dio il regalo da lui ricevuto! [ç]

 

Indice